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venerdì 12 ottobre 2012

B. Scienza - Il risparmio tradito [2009]


La nuova edizione, integralmente aggiornata e arricchita di nuovi capitoli, è stata ampliata di 40 pagine con la guida "Come salvare i propri soldi". Il libro denuncia i danni procurati a oltre 10 milioni di italiani da fondi comuni e pensione, gestioni, polizze vita ecc. Colpa anche del giornalismo economico, come documentano 370 esempi di strafalcioni, apprezzamenti immotivati e gravi omissioni. La salvezza è nel fai-da-te, praticabile anche da chi non ha particolari competenze né tanto tempo da dedicarvi. Le principali soluzioni sono spiegate nella Guida, suddivisa in tre parti: 1. La massima sicurezza, 2. Diversificare gli investimenti, 3. Le scelte previdenziali.

martedì 8 maggio 2012

Biondani, Gerevini, Malagutti - Capitalismo di rapina [2007]


Le manovre intorno a Telecom Italia, il crac della Parmalat di Tanzi, l'ascesa dei nuovi finanzieri e non solo: il libro racconta la storia sotterranea del "capitalismo di rapina". I percorsi occulti del denaro, un sottobosco poco illuminato dagli articoli dei giornali, che secondo gli autori spesso non vanno oltre i semplici verbali d'interrogatorio o le intercettazioni telefoniche. Gli autori seguono le tracce dei soldi, entità resa ormai sempre più astratta, tra conti bancari e giochi di sponda in Borsa, fino a ipotizzare complicità ad altissimo livello nelle grandi banche, nelle istituzioni, nel mondo politico, nelle autorità di controllo. Un'affollatissima galleria di personaggi: Fazio, Fiorani, Ricucci, Coppola, Gnutti, tutti finiti sotto i riflettori dei media per effetto delle inchieste giudiziarie, alle cui spalle vive e lavora una folla di banchieri, avvocati, fiduciari. Sono loro a essere definiti come i gran sacerdoti del capitalismo di rapina.

Capitalismo di rapina. La nuova razza predona dell'economia italiana (Principioattivo)

sabato 5 maggio 2012

G. Dragoni, G. Meletti - La paga dei padroni [2008]


L'amministratore delegato della banca Unicredit, Alessandro Profumo, nel 2007 ha guadagnato 9 milioni e mezzo di euro, 25 mila euro al giorno. Quanto un lavoratore medio in un anno. Il dibattito sugli stipendi dei manager sta diventando centrale in tutti i Paesi sviluppati. Solo in Italia se ne discute pochissimo, come se l'argomento fosse ritenuto sconveniente. Questo libro affronta il tema in profondità, analizzando una raffica di casi che lasciano allibiti i piccoli azionisti, i dipendenti e gli stessi clienti delle società quotate in Borsa. Perché nel 2007 le buste paga dei cinquanta manager più pagati sono cresciute del 17 per cento (in un anno in cui sono andati male Borsa e bilanci) mentre quelle dei lavoratori dipendenti solo del 2,3 per cento? Le retribuzioni dei top manager sembrano aver strappato ai salari il titolo di "variabile indipendente". Perché nella classifica dei manager più pagati d'Italia ci sono spesso i grandi azionisti o loro famigliari? Forse perché i capitalisti italiani riescono a comandare nelle aziende con così poche azioni che se dovessero vivere di dividendi sarebbero poveri. Gli autori raccontano, in un linguaggio semplice e ricco di storie, come gli stipendi dei manager aiutino a capire la crisi profonda dell'economia italiana, e di un'industria che sembra non tenere il passo con la competizione internazionale.

La paga dei padroni (Principioattivo)

lunedì 16 aprile 2012

N. Roubini - La crisi non è finita [2010]


Nel settembre del 2006, dal podio del Fondo monetario internazionale, un professore di economia della New York University ammonì i presenti su un imminente, terribile crack dell'economia mondiale, innescato dalla crisi dei mutui immobiliari americani, dall'oscillazione dei prezzi del petrolio e dalla conseguente crisi di fiducia dei consumatori. All'epoca nessuno diede peso alle sue fosche analisi, ma oggi Nouriel Roubini è riconosciuto come uno degli economisti più autorevoli del mondo, dopo che tutte le sue previsioni si sono puntualmente avverate. In questo libro Roubini svela finalmente ai lettori in che modo è riuscito a prevedere prima di altri la crisi in arrivo, evidenzia gli errori da evitare nella fase attuale, indica i passi da compiere per uscirne in modo stabile. Centrale nella sua visione è la convinzione che i disastri economici non sono "cigni neri", eventi unici e imprevedibili, privi di cause specifiche. Al contrario, i cataclismi finanziari sono vecchi quanto il capitalismo stesso e si possono prevedere e riconoscere mettendo a confronto i dati ricavabili dalle diverse realtà geografiche e dalle diverse epoche storiche. Solo ricavando i giusti insegnamenti da queste esperienze, ammonisce Roubini, possiamo fronteggiare l'endemica instabilità dei sistemi finanziari, imparare a prevederne i punti di rottura, circoscrivere i pericoli di contagio globale, e soprattutto riuscire a immaginare un futuro più stabile per l'economia mondiale.

La crisi non è finita (Serie bianca)

domenica 23 ottobre 2011

J.A. Paulos - Un matematico gioca in borsa [2004]


John Allen Paulos è matematico, apprezzato professore universitario e divulgatore di grande successo. Forte delle sue competenze, ha provato a utilizzarle in un settore dove la dimestichezza con i numeri deve essere senz'altro di grande aiuto – o almeno così gli pareva. Ha dunque utilizzato il suo sapere matematico – dal calcolo delle probabilità alla statistica, dalla teoria dei giochi alla logica – per gestire i suoi investimenti finanziari. Un matematico gioca in Borsa racconta con straordinario brio e divertimento una vicenda basata su una esperienza personale. Inizia quando Paulos decide di investire una piccola somma acquistando un pacchetto di titoli di una società high tech dal luminoso avvenire (così asserivano unanimi gli esperti). Come un amore sfortunato, quelle azioni lo intrappolano nell'universo della Borsa: un mondo dove la psicologia umana conduce facilmente all'errore (e poi, peggio ancora, spinge a perseverare nell'errore), dove vigono regole che sfidano l'intuizione e il buonsenso, e dove spesso regna il paradosso. Facendosi forte della propria esperienza di investitore tanto competente quanto sfortunato, ma anche utilizzando le proprie conoscenze scientifiche e una straordinaria chiarezza espositiva, Paulos ci rivela i misteri della Borsa. Con il sorriso sulle labbra, illumina le complessità del mercato azionario, le sue promesse e le sue trappole.

Un matematico gioca in Borsa. Consigli e sconsigli per chi vuole diventare ricco con le buone azioni (Saggi)

domenica 15 maggio 2011

B. Mandelbrot - Il disordine dei mercati [2005]


La geometria frattale ha modificato radicalmente il modo in cui la scienza tenta di penetrare i misteri della natura e ha influenzato numerosi campi di studio e di applicazione moderni. Benoît Mandelbrot, artefice di questa profonda rivoluzione, applica oggi i suoi metodi anche al mondo della finanza; negli ultimi quarant'anni, infatti, ha analizzato attentamente ogni aspetto del campo, giungendo alla conclusione che le teorie ancora in uso ai giorni nostri poggiano su basi sbagliate: il mercato è molto più rischioso di quanto si pensi comunemente. In questo libro, l'autore scherza con i mostri sacri dell'economia classica, smontando i vecchi modelli a causa dei quali numerosi investitori hanno perso ingenti quantità di denaro.

Il disordine dei mercati. Una visione frattale di rischio, rovina e redditività (Saggi)

domenica 20 marzo 2011

J.K. Galbraith - Il grande crollo [1961]


In queste pagine si racconta la storia del più grande rialzo speculativo e relativo crollo delle azioni dei tempi moderni. È giusto contribuire a tener vivo il ricordo di quei giorni. Infatti né la regolamentazione pubblica, né il migliorato livello morale degli affaristi, degli agenti di cambio e dei loro clienti, degli operatori di borsa, dei funzionali delle banche e dei fondi d'investimento sono in grado d'impedire questi scoppi ricorrenti e le loro conseguenze. Serve di più il ricordo di come, in passate occasioni, le illusioni hanno preso il posto della realtà e la gente è rimasta "incastrata".

Il grande crollo (Superbur saggi)

domenica 6 marzo 2011

J.K.Galbraith - La moneta, da dove viene e dove va [1976]


"La storia della moneta insegna molto", scrive John Galbraith o "almeno si può fare che insegni molto". Gli antichi lavoravano i metalli - l'oro, l'argento, il rame - e li coniavano in monete; nel tempo, l'avvento della società moderna ha introdotto l'uso delle banconote di vario taglio e portata, più facile a maneggiarsi. Ma se muta il materiale, il significato resta identico. Ebbene, si chiede Galbraith, "cos'è che rende questa striscia di carta, di per sé priva di valore, così utile negli scambi, mentre nessun altro foglio di simili dimensioni ha un valore comparabile?". Le risposte possono essere molte, ma, nota l'economista americano, risultano spesso incoerenti. La realtà è che "il lettore dovrebbe leggere queste pagine con la consapevolezza che la moneta non è niente di più o di meno di ciò che lui, o lei, ha sempre pensato che fosse, vale a dire ciò che viene comunemente offerto o ricevuto per l'acquisto o la vendita di merci, servizi o altre cose". Da questa semplice evidenza si dipana una storia affascinante e insolita, che se a un certo punto coincide con quella economica, non è comunque solo questo. La moneta, e cioè il denaro, concerne la vita stessa dell'uomo nel suo essere e divenire attraverso i secoli, riguarda il sorgere di nuove istituzioni quali le banche, le società per azioni, i sindacati o la previdenza sociale, è alla base di fatti drammatici quali le guerre e le rivoluzioni. Si tratta dunque di una lunga storia, piena di sfaccettature, che dai re di Lidia - i primi, presumibilmente, a coniare le monete nell'ottavo secolo avanti Cristo - arriva sino ai giorni nostri, caratterizzati da problematiche sociali e da mercati instabili, in cui il dollaro primeggia con le sue ricorrenti crisi e impennate, creando inflazioni o stagnazioni. Chi meglio di John Galbraith, certamente il più famoso e discusso economista d'America,  poteva dare alla moneta questo senso ampio e questa corposità storica e umana, non solo quindi metallica o fatta di semplice carta? Dalle sue tesi, dalla sua dissertazione, nasce un libro di estrema attualità e di valido aiuto per la comprensione dei problemi urgenti che travagliano il nostro incerto presente, legato com'è ai flussi e ai riflussi della moneta e dei suoi meccanismi.

Soldi. Da dove vengono dove vanno (Saggi stranieri)

venerdì 12 febbraio 2010

Massimo Fini - Il denaro "sterco del demonio" [1998]


Cos’è il denaro? Quando e perché è nato? Il denaro è una logica affascinante ma tremendamente insidiosa che ha finito per soggiogarci e determinare gli stili, i ritmi, le modalità e gli scopi della nostra vita, disegnando prospettive inquietanti. Se dal punto di vista individuale il denaro è un credito, preso globalmente è un debito sempre più colossale che stiamo accumulando col futuro. È una scommessa continua su se stessa, cioè sul vuoto. Fino a quando potrà durare il gioco? Il libro di Massimo Fini è da un lato una storia del denaro, rigorosamente documentata, dall’altro è un attacco radicale alla società contemporanea di cui il denaro, col suo abnorme sviluppo, è insieme metafora e concretissimo strumento.

Il denaro «Sterco del demonio» (Tascabili. Saggi)

domenica 30 agosto 2009

Economisti (?)

Gli economisti sono sotto attacco da più parti. La prestigiosa rivista Nature ha invocato la necessità di una “rivoluzione scientifica” in economia, riconducendo l’ incapacità degli economisti di “prevedere e evitare le crisi” al loro aver assunto il mercato ad idolo, ed accusandoli di fare propaganda piuttosto che scienza. Sono accuse pesanti, su cui essi devono dire qualcosa. Il Sole–24 Ore ha iniziato un dibattito con un editoriale “a discarico” di R. Perotti (23 novembre), proseguito poi con interventi molto critici sullo stato della professione – in particolare uno di Roberto Artoni del 26 novembre.
Che la crisi abbia suscitato questo confronto è senz’altro positivo. Mai come nell’ultimo decennio infatti gli economisti liberisti avevano monopolizzato l’informazione. Usando la vecchia tecnica dei frequenti complimenti e citazioni reciproche, sono riusciti a dare l’impressione anche a lettori avveduti che un pensiero unico accomunasse tutti gli “economisti seri”. Il punto importante non è tanto quello degli errori di previsione, ma le storie che questi “economisti seri” son venuti raccontandosi e raccontando ai malcapitati lettori, nei loro editoriali e nei loro libelli. Sostenevano che la liberalizzazione finanziaria avesse fatto mirabilie, che “metà della crescita della produttività degli Stati Uniti è dovuta al settore finanziario”, e che quindi l’enorme ricchezza di cui questo settore riesce ad appropriarsi è giustificata dal suo benefico effetto sulla crescita del prodotto: le rendite non si anniderebbero nei colossali compensi dei dirigenti del settore finanziario, ma tra i lavoratori che guadagnano 1000-1500 euro al mese, e che godono del “privilegio” di un posto di lavoro con qualche tutela.
Dopo tutti i loro peana al liberismo quegli economisti, dimenticando tra l’altro di aver spesso vantato gli effetti espansivi della riduzione della spesa pubblica, hanno firmato spaventati appelli perché il finora esecrato Leviatano intervenisse a levare le castagne dal fuoco, con un aumento di spesa pubblica che potrebbe essere vertiginoso: il piano britannico per i salvataggi bancari, a cui tutti sembrano ispirarsi, ha stanziato l’equivalente di 600 miliardi di euro, pari a quasi la metà del PIL italiano, o, se si vuole, pari a circa 4 volte quanto speso annualmente dall’INPS per le pensioni. Ma chi ha dimenticato che quegli stessi economisti fino a ieri additavano all’opinione pubblica come una grave minaccia un possibile aumento della spesa per pensioni di un paio di punti di PIL (la famigerata “gobba”)?
Qualcuno di essi sta oggi iniziando a rispolverare Keynes. Ma se avessero letto Keynes avrebbero forse avuto qualche remora nei loro inni al “contributo” della finanza alla crescita – che appaiono tragicomici oggi che il contribuente è chiamato a pagarne i disastri. Keynes, che era un grande economista e un grande speculatore, paragonava lo “scommettere a Wall Street” allo scommettere alle corse dei cavalli, sostenendo che entrambi servivano solo a dare l’illusione di potersi arricchire senza far nulla, ma che era preferibile andare alle corse dei cavalli, perché così almeno si prendeva un po’ d’aria.

prof. Dario de Vivo

lunedì 1 giugno 2009

Mibtel e S&P/Mib addio, da oggi indici Ftse

(ANSA) - MILANO, 30 MAG - Ai nastri di partenza dal primo giugno a Piazza Affari i nuovi indici Ftse Italia (Financial Times Stock Exchange) dopo le nozze tra Borsa Italiana e il listino di Londra. Al posto dello S&P/Mib da lunedi' partira', con la stessa metodologia di calcolo e lo stesso numero di titoli (40), il Ftse Mib mentre andranno in soffitta il Mibtel, il Midex, il Mex, il Mib settoriale, il Mib R e l'All Stars. Quest'ultimo sara' sostituito dal Ftse Italia Star. A rappresentare la performance di tutti i titoli quotati ci sara' in particolare, al posto dello storico Mibtel (che venerdi' ha chiuso la sua ultima seduta con un calo dell'1,09%), il nuovo Ftse Italia All Share (un paniere di 250 titoli anziche' 275). Gli altri indici sono: il Ftse Italia Mid Cap, il Ftse Italia Small Cap e il Ftse Italia Micro Cap. In oltre quindici anni di vita il Mibtel, partito il 3 gennaio del 1994 con una base di 10 mila punti e che venerdi' ha chiuso a 15.743 punti, ha guadagnato il 57,43%. Lo storico indice ha toccato il suo massimo il 6 marzo del 2000 a 34.819 punti. Il giorno invece nel quale ha registrato la maggiore variazione al rialzo e' stato recentemente e, cioe', lo scorso 13 ottobre 2008, con un balzo del 10,93 %. (ANSA)

domenica 18 gennaio 2009

L. Tvede - Psicologia della finanza


Rockefeller sosteneva una semplice, evidente verità: per arricchirsi in Borsa bisogna vendere quando tutti comprano e comprare quando tutti vendono. Come dargli torto? Eppure, la maggioranza delle persone non fa così, anzi fa esattamente il contrario. Sarà un comportamento irragionevole, eppure è bene tenerne conto perché - come ha ben dimostrato il fenomeno della New Economy esso ha un'influenza decisiva sulle Borse. Questo libro affronta in maniera razionale, sistematica e scientifica, questa immensa zona che è la negazione della razionalità, della sistematicità e della scientificità. E che da sempre detta la legge occulta che governa i mercati.

Stare seduto!

"Penso di avere veramente fatto un grande passo in avanti quando sono riuscito a capire che quando il vecchio Mr. Partridge diceva agli altri clienti, "Beh, sapete, il mercato è rialzista (bullish)!" ció che voleva dire era che i grandi guadagni erano non nelle fluttuazioni individuali, ma nei grandi movimenti, nei trends. E lasciatemi dire adesso una cosa: dopo aver passato molti anni a Wall Street e dopo aver guadagnato e perso milioni di dollari vi voglio dire questo: non sono mai state le mie idee che mi hanno reso molto. E' sempre stato il mio star seduto. Capito? Star seduto fermo! Non è difficile capire il mercato. Si trovano sempre un mucchio di rialzisti all'inizio di un ciclo di rialzo ed un mucchio di ribassisti all'inizio di un ciclo di ribasso. Ho conosciuto molti che riuscivano ad iniziare a comprare ed a vendere nel momento a loro piú favorevole. E la loro esperienza invariabilmente assomigliava alla mia: non diventavano mai veramente ricchi. Persone che riescono a vedere giusto e a star seduti fermi non sono comuni. Per me è stata una delle cose più difficili da imparare. Ma è solo dopo cha la si capisce che cominci veramente a guadagnare. [...] La ragione è che una persona può anche vedere giusto e chiaro e però diventare impaziente o dubbioso quando il mercato lo fa attendere. [...] Non è che il mercato li batte. Si battono da soli, perché nonostante abbiano cervello, non sono capaci di star seduti fermi."

sabato 20 settembre 2008

La banca senza banchieri

La caratteristica più nota del sistema bancario islamico è il divieto di addebitare interessi. Il Corano (sura 2, versetto 275) vieta la riba sul denaro prestato. Il termine si riferisce non solo all’usura, cioè ad un tasso d’interesse eccessivo, ma a qualsiasi corresponsione d’interessi su mutui e depositi. Secondo la shari’ah, che è la legge islamica, soltanto il lavoro dell’uomo può giustificare l’arricchimento, sia sul piano etico che giuridico. Non è lecito percepire alcun interesse, neanche minimo, perché esso rappresenta un guadagno del creditore collegato al semplice decorrere del tempo. L’Islam consente solo un tipo di prestito - chiamato qard-elhassan, che letteralmente significa buon prestito - dove il prestatore non addebita alcun interesse o importo addizionale alla cifra prestata. Il creditore offre il prestito per ottenere la benedizione di Allah e si aspetta una ricompensa solo da Allah. Le risorse per questo tipo di operazione sono prelevate da un fondo di solidarietà, detto decima legale (zakat), formato dai contributi volontari che tutti i musulmani versano a favore dei poveri e che vengono gestiti dalle banche per conto delle comunità locali o dei governi. Il denaro erogato come buon prestito viene usato a scopo di consumo o per l’acquisto di beni di prima necessità.
La condanna dell’usura deriva dal fatto che la moneta è considerata unità di misura e mezzo di pagamento. Non avendo alcun valore intrinseco, non può generare altra moneta tramite il pagamento d’interessi. Il lavoro umano, lo spirito di iniziativa e il rischio insito in un’attività produttiva, sono più importanti del denaro usato per finanziarli. I giuristi musulmani considerano la moneta come capitale potenziale, piuttosto che come capitale in senso stretto, nel senso che essa diventa capitale solo quando viene investita in un’attività economica. Di conseguenza, il denaro anticipato sotto forma di prestito è considerato un debito dell’impresa e non un capitale. In quanto tale, non dà diritto ad alcun profitto. Il suo potere d’acquisto non può venire usato per creare direttamente maggiore potere d’acquisto, ma deve passare attraverso una fase intermedia che la compravendita di beni e servizi. Partendo da questa visione della moneta, la finanza islamica si fonda sull’idea che prestatore ed utilizzatore di moneta devono spartire in ugual misura il rischio d’impresa, affinché tutta la comunità, e non soltanto una categoria di operatori economici, ne tragga beneficio. Ciò vale per fabbriche, aziende agricole, società di servizi o semplici operazioni commerciali. Tradotto in termini bancari, significa che tutti i soggetti coinvolti - il depositante, la banca, il debitore - devono dividere i rischi e i guadagni derivanti dal finanziamento di una certa attività. É il principio del profit-loss sharing, conosciuto ma scarsamente applicato nel sistema bancario occidentale, che invece obbliga il debitore a restituire l’ammontare del prestito ricevuto, insieme all’interesse imposto, indipendentemente dal successo o dal fallimento della sua impresa. Tecnicamente la condivisione del rischio d’impresa si sostanzia in varie forme di finanziamento, di tipo associativo o partecipativo.
La banca senza banchieri. Questo è il cardine del socialismo islamico. Nel capitalismo occidentale esiste invece un conflitto strutturale tra imprese bancarie, che producono moneta dal nulla e lucrano sul tempo, ed imprese industriali e commerciali, che faticano a produrre lavoro perché schiacciate da interessi e garanzie vessatorie imposte dall’usurocrazia globale.

domenica 10 agosto 2008

Rapporti con le banche


Volevo segnalare questa bella iniziativa da parte di Adusbef, che ci aiuta a capire meglio i meccanismi bancari e ci fornisce un modo per migliorare i nostri rapporti con gli istituti di credito, preservandoci da spiacevoli "sorprese". Riporto le motivazioni che stanno alla base dell'iniziativa e i links per scaricare un libro completo sull'argomento.
Buona lettura.

E' noto che le banche non sono molto interessate a far conoscere alla clientela l'uso migliore ed efficace dei prodotti e dei servizi del credito. L'ignoranza in cui è lasciato il correntista è - disgraziatamente - congeniale alla conduzione di un rapporto sbilanciato a favore delle aziende di credito. Fa comunque riflettere il fatto che aziende fornitrici di servizi siano così poco interessate a far usare in maniera la più economica possibile i prodotti ed i servizi erogati secondo standard di efficienza e qualità. Dopo la metà degli anni '90, Adusbef ha rilevato una veloce decadenza nell' assistenza di sportello: non solo i depositanti e gli utenti (fornitori della materia prima trattata dalla banche), ma anche gli stessi operatori economici sono tenuti all' oscuro delle caratteristiche, ad esempio, dell'affidamento del conto, dei servizi di supporto all'esportazione o, più semplicemente, all'attività commerciale. Vista la situazione richiamata, il sistema bancario si è sviluppato in maniera autoreferenziale, tenendo in scarsa considerazione le esigenze della clientela (singoli utenti o aziende private o pubbliche). In particolare il piccolo correntista è sempre stato considerato come ultima ruota del carro, un limone da spremere, mentre dovrebbe essere considerato il primo finanziatore del sistema. Questa anomalia è particolarmente sconcertante per un settore che non produce beni, ma servizi, e le cui aziende continuano ad essere sul mercato perché altri soggetti sono disposti a remunerare i servizi da loro offerti e da questi utilizzati.
Viste le caratteristiche non proprio avanzate, il provincialissimo sistema bancario italiano ha imposto e tende ad imporre prodotti omogenei, di qualità scadente, mai all'avanguardia, di costo particolarmente elevato; nei fatti, in regime di monopolio. Per decenni il cliente non è stato in grado di scegliere soluzioni alternative: le norme uniformemente vessatorie, i costi praticamente identici, le dimensioni aziendali "suggerite" dalla Banca d'Italia, accettate dagli istituti di credito in cambio di "comprensioni" più o meno professionali, hanno fatto crescere un sistema creditizio nazionale più da sopportare che in grado di favorire il sistema economico; senza prodotti innovativi e respiro asfittico; con gli oltre trecentomila addetti che, ancora oggi, hanno l'atteggiamento tipico di chi elargisce i suoi servizi e per questo deve essere ringraziato.Una tale posizione di vantaggio dell'offerta nei confronti della domanda (praticamente obbligata) ha permesso alle aziende creditizie l'adozione di politiche di bilancio impostaste esclusivamente sul controllo del differenziale "tasso passivo - tasso attivo" e sull'aumento dei costi dei singoli servizi, a copertura di erogazioni ed impieghi decisi, troppo spesso, "per meriti speciali".
Il progetto, mirato alla divulgazione delle caratteristiche fondamentali dei servizi del credito, ha l'obbiettivo di mettere in grado la clientela bancaria di "trattare", in agenzia, i propri interessi attraverso una maggiore e meglio circostanziata conoscenza degli strumenti offerti dalle banche ed utilizzati dai correntisti. L'obbiettivo finale è, quindi, quello di riequilibrare un rapporto impari, attraverso la individuazione delle situazioni di ombra nei contratti cliente/banca.

sabato 9 agosto 2008

Pronti contro termine

Si definiscono comunemente operazioni "pronti contro termine" quelle operazioni nelle quali una parte vende ad un'altra una certa quantità di titoli o valori (c.d. operazione a pronti) con contemporaneo riacquisto della stessa quantità ad un termine prestabilito (c.d. operazione a termine).
L'art. 1, c. 5, D.Lgs 435/97, recante disposizioni in materia di tasse sui contratti di borsa, definisce "pronti contro termine" quei contratti "che configurano un'operazione a pronti ed una contrapposta operazione a termine, posti in essere sotto la stessa data, nei confronti della medesima controparte, sugli stessi titoli o valori e per pari imposto nominale".
In tali operazioni, normalmente, il venditore a pronti e acquirente a termine è una banca, mentre l'acquirente a pronti e venditore a termine è un cliente della banca.
Il tasso dell'operazione può essere inferiore o superiore a tasso d'interesse del titolo scambiato. In questi casi viene riconosciuto un differenziale sul prezzo secco a termine.

mercoledì 22 agosto 2007

Breve storia della Moneta

C’è pochissimo in economia che chiami in causa il sovrannaturale. Ma c’è un fenomeno che è stato per molti una tentazione in tal senso. Guardando un foglio rettangolare, spesso di mediocre qualità, che raffigura un eroe nazionale o un monumento o un’immagine classica vagamente ispirata a Pieter Paul Rubens o a Jacques-Louis David o a un mercato di verdura particolarmente ben fornito e stampato con inchiostro verde o marrone, essi si sono posti questa domanda: Perché una cosa che in sé è così priva di valore deve essere così evidentemente desiderabile?

La moneta nasce come una merce le cui caratteristiche di grande duttilità e fungibilità ne consentono l’utilizzazione prevalente per l’attività di scambio. Una moneta d’oro equivaleva a cinque pecore, due cavalli o trenta medimni di grano (a seconda della maggiore o minore scarsità di pecore, cavalli o grano) ed era pertanto agevole portare con sé grandi quantità di questi e degli altri pochi generi di beni disponibili sotto forma di oro cosa che facilitava enormemente gli scambi di merci.

In un contesto di scarsità generale delle merci l’andamento dei prezzi tendeva al rialzo in periodi di maggiore scarsità ed al ribasso in periodi di relativa abbondanza mantenendo, però, un sostanziale equilibrio nel senso che ad una determinata quantità di oro (sotto forma di moneta) corrispondeva nel lungo periodo in media una determinata quantità di beni di ciascun genere (1). La conquista delle Americhe e la grande importazione d’oro operata dalla Spagna nel periodo successivo produssero un incremento del prezzo dei beni (2) (la cui scarsità era rimasta costante) ed una sostanziale inflazione della moneta aurifera ma in sostanza la natura della moneta non ha subito mutamenti sostanziali sino all’invenzione della moneta cartacea.

Poco prima della rivoluzione francese la Banca d’Inghilterra cominciò ad emettere certificati per importi di metalli preziosi pari al valore di quelli depositati presso le sue casse. Questi certificati erano sempre convertibili nell’oro o negli altri metalli fisicamente esistenti presso i forzieri della Banca, ma la loro circolazione era più agevole e molto più sicura dell’oro stesso, sempre esposto ai rischi di eventi delittuosi. Molti altri paesi seguirono l’esempio dell’Inghilterra e nacquero così le varie monete in forma cartacea.

Naturalmente tutti rispettavano in qualche misura il principio della convertibilità finché la crisi del ’29 non mise in evidenza che la grande capacità produttiva dei paesi anglosassoni, di gran lunga superiore a quella degli altri paesi europei, generava scarsità di oro e di altri metalli preziosi e quindi scarsità di moneta. Questo squilibrio tra la quantità di oro e di relativa moneta in circolazione e la massa di beni prodotta soprattutto dagli Stati Uniti si tradusse in crisi di sovrapproduzione negli stessi Stati Uniti le cui industrie non riuscivano più a vendere i propri prodotti a causa della fisica impossibilità degli Stati di emettere moneta per l’esaurimento delle riserve di oro e di altri preziosi.

Per uscire dalla crisi gli Stati cominciarono ad emettere moneta senza corrispettivo in preziosi o altre valute nelle proprie casse allo scopo di cercare di rivitalizzare le proprie economie. Ovviamente furono anche emanate norme che vietavano la conversione della moneta in oro o altri preziosi poiché tale corrispondenza veniva sostanzialmente a mancare. Naturalmente questa stampa di banconote a vuoto generava inflazione nella misura in cui la massa monetaria diveniva maggiore dei beni in circolazione e produceva un generale rialzo dei prezzi scatenando spirali inflazionistiche che in Europa furono tenute sotto controllo solo a mezzo di una feroce repressione attuata dalle dittature che salirono al potere tra le due guerre mondiali. Allo stesso tempo i governi cominciarono ad emettere titoli di debito pubblico in misura consistente a mezzo dei quali finanziarono soprattutto la costruzione di grandi infrastrutture di pubblica utilità che consentirono un generale salto di qualità del sistema economico. L’inflazione venne controllata a mezzo di una sostanziale riduzione dei salari, mentre le eccedenze della massa monetaria che il sistema produceva vennero utilizzate, oltre che per le opere pubbliche, per l’industria delle armi nella convinzione che le conquiste territoriali avrebbero consentito la necessaria redistribuzione delle ricchezze tra i popoli.

Nel dopoguerra la politica di deficit di bilancio (così viene chiamata la stampa di moneta senza corrispettivo) ha caratterizzato la politica economica di tutti i governi del mondo al punto che le riserve aurifere sono divenute una porzione insignificante dei beni fronte della massa monetaria. Al sistema della convertibilità di tutte le monete in oro o altri preziosi venne sostituito, con gli accordi di Bretton Woods, il sistema della convertibilità delle monete nel dollaro americano che solo manteneva un rapporto con l’oro. Per evitare eccessivi squilibri tra le monete venne istituito il Fondo Monetario Internazionale alla cui creazione contribuirono essenzialmente gli Stati Uniti e l’Inghilterra ma al quale aderirono praticamente tutti gli Stati del mondo poiché solo in quel modo era possibile garantire la convertibilità della propria moneta e quindi l’accesso al mercato mondiale.

Il FMI interveniva a mezzo di prestiti a medio e lungo termine per mantenere l’equilibrio tra le monete dei vari Stati ed evitare tensioni e speculazioni eccessive sui mercati valutari. Questo sistema ha prodotto due effetti: da un lato ha indotto gli Stati a convertire le proprie riserve in dollari americani - e ciò ha consentito agli americani di stamparne in quantità incontrollata poiché il valore della banconota era sostenuto artificialmente dall’eccesso di domanda - dall’altro ha incrementato a dismisura la massa monetaria mondiale. In alcuni paesi, politicamente deboli ed economicamente in crescita, negli anni ’60, l’eccessivo incremento della massa monetaria ha prodotto violente ondate inflattive che hanno a loro volta determinato riflusso economico e tensioni sociali e politiche. A determinare queste situazioni, ovviamente, non è stato estraneo il FMI che ha gestitola propria politica di credito con criteri principalmente politici, ma complessivamente il sistema ha funzionato finché l’economia mondiale è stata in crescita, ovvero sino alla prima grande crisi petrolifera del 1972. Le restrizioni operate a seguito della crisi e la generale necessità di valuta hanno determinato allora la crisi del dollaro e la conseguente abolizione del sistema della convertibilità istituito con gli accordi di Bretton Woods.

Da allora il valore delle monete, svincolato da un qualsivoglia legame sia pure indiretto con l’oro o altri preziosi, è stato determinato solo in funzione dei rapporti politici e dei rapporti di forza sul mercato valutario. La continua crescita della massa monetaria comporta una progressiva riduzione della funzione politica di controllo delle monete. Di fatto oggi è il mercato che stabilisce il rapporto di forza tra le valute e nel mercato perdono progressivamente di peso gli interventi delle banche centrali e degli Stati poiché è aumentato in maniera rilevantissima il numero dei gruppi finanziari ed economici privati in possesso di mezzi valutari e risorse persino maggiori di quelle di molti Stati del mondo.

Come è apparso evidente nella crisi del ’92, anche un Stato industrializzato come l’Italia, pure appoggiato dai paesi aderenti allo SME, non è stato in grado di sostenere la propria moneta sottoposta alle pressioni della speculazione internazionale. La politica monetaria ha quindi assunto sempre più importanza e la determinazione del tasso di sconto è divenuto terreno di scontro tra le forze politiche.

L’indebitamento degli Stati si è innalzato a livelli impensabili e quindi il tasso di sconto è divenuto l’unico strumento per garantire il pagamento degli interessi sul debito che altrimenti costringerebbe molti Stati a dichiarare bancarotta (ovvero a consolidare il proprio debito). Il problema è però che un elevato tasso di sconto attira capitali finanziari ma allontana capitali di investimento costretti a subire un livello di fiscalizzazione troppo elevato. Nel medio periodo le politiche monetarie deprimono l’economia produttiva per la quale, in fondo, è del tutto irrilevante uno scostamento di mezzo punto in su o giù del tasso di sconto ma che vivono della circolazione del capitale monetario. E’ evidente che questo sistema è destinato a finire rapidamente. Neppure l’istituzione della moneta unica, che pure limita le possibilità di azione della speculazione finanziaria, può salvare il sistema dato che le diverse capacità produttive nelle diverse aree del paese non sono più temperate dall’ammortizzatore valutario ed oltretutto il problema del debito pubblico rimane in tutta la sua pesantezza.

Attualmente in Italia le riserve aurifere sono poco più dell’1% del totale della massa monetaria, mentre per ragioni diciamo così estetiche continua a comparire sulle banconote la dizione tipica della convertibilità (£ 1.000 pagabili a vista al portatore) nonostante ciò sia vietato per legge da circa 70 anni. L’unico vantaggio che è derivato da tale situazione è che la massa monetaria è lievitata in maniera smisurata fino a raggiungere oggi in Italia la considerevole cifra di oltre 7 milioni di miliardi di lire.

Ovviamente il divieto della convertibilità e l’emissione a vuoto (ovvero in funzione di una percentuale sul PIL di poco superiore alla inflazione corrente) di banconote ha radicalmente mutato la natura stessa della moneta. Essa è infatti divenuta misura del valore dei beni prodotti dalla collettività ed il suo valore è dato dalla convenzione giuridica universalmente accettata che glielo conferisce.

E’ evidentemente ingiusto un sistema in cui una merce non tassabile, il capitale monetario, generi enormi ricchezze senza produrre alcunché. Infatti il capitale monetario non produce ricchezza ma si appropria all’origine di ricchezza prodotta da altri nell’economia reale e sarà questa a riprendere, prima o poi la supremazia. In questo sistema i valori monetari nascondono ricchezza reale che viene sottratta a chi la produce per essere distribuita in maniera ineguale nel mercato finanziario sulla base di rapporti di forza e non di capacità produttive. Le emissioni monetarie ed i titoli del debito pubblico sono gli strumenti a mezzo dei quali viene operata questa indebita appropriazione di ricchezza.

Il sistema monetarista cesserà di esistere nel momento in cui le nuove tecnologie produrranno milioni di transazioni finanziarie connesse al mondo della produzione e quindi estranee alla logica della finanza pura. Infatti se per gestire una enorme quantità di moneta un piccolo gruppo di persone trova certamente conveniente investire in massa in operazioni di pura speculazione finanziaria, i milioni di piccoli operatori che muovono ciascuno la propria microscopica frazione di capitale, si rivolgeranno con maggiore decisione verso il mondo della produzione dal quale possono trarre concreti benefici e più alti profitti. Allora o la remunerazione del capitale di rendita diviene maggiore di quello produttivo, ma questo è evidentemente assurdo, oppure non ci sarà tasso di sconto in grado di attirare capitali finanziari a sufficienza e sarà quindi necessario il consolidamento del debito pubblico. Per evitare questa sciagurata iattura c’è solo la via della tassazione del capitale monetario e della liberazione della produzione e del consumo da ogni sorta di imposte.

Abbiamo visto che la moneta, all’atto della sua emissione si appropria, senza corrispettivo, di ricchezza generata nel mondo della produzione.

La pretesa della moderna teoria di considerare la moneta un valore creditizio è evidentemente errata poiché comporta che ad ogni emissione monetaria si genera un debito per i cittadini la cui ricchezza invece costituisce la base del valore della moneta, con l’assurda conseguenza che i cittadini la moneta la pagano due volte, la prima all’atto dell’emissione, caricandosi il relativo debito a carico dello Stato, la seconda con il lavoro necessario per produrla.

Per effetto di questa perversa e truffaldina imposizione delle banche centrali, che in questa maniera si impadroniscono di risorse prodotte dai cittadini, ogni attività produttiva è divenuta fonte di debito invece che di guadagno e l’affanno generalizzato che domina la società contemporanea è frutto di questa vera e propria truffa organizzata dalle banche centrali in danno dei cittadini.

E’ ora che i cittadini si riapproprino dei valori contenuti nella massa monetaria a mezzi di un sistema che consenta una equa redistribuzione delle ricchezze prodotte che tuteli il diritto alla vita di tutti senza limitare in alcun modo, anzi accelerando all’estremo la capacità produttiva delle nazioni.

NOTE:
(1) Già nell'antica Roma fu sperimentata una sorta di inflazione: la scarsità di oro, infatti, indusse gli imperatori a ridurne progressivamente la quantità nelle leghe che componevano le monete e questo generava aumenti di prezzi.

(2) Apparentemente per la ragione diametralmente opposta a quella che generava aumenti di prezzi nell'antichità. In realtà il problema dell'inflazione è sempre lo stesso: un eccesso di moneta rispetto alla quantità di beni in circolazione determina sotto ogni latitudine un aumento di prezzi.

giovedì 9 agosto 2007

Mutui americani


IL CASTELLO DI CARTA DEI MUTUI AMERICANI
di Giuseppe Turani

Il mercato dei prestiti immobiliari sub-prime, in America, mostra segni di debolezza (per non dire di peggio). E la platea dei piccoli risparmiatori (che vi è coinvolta, suo malgrado) mostra segni crescenti di nervosismo. Per questo...

29 Luglio 2007 13:52 MILANO

(WSI) – In questo momento le Borse hanno più di un motivo per essere inquiete. Tanto per cominciare non è ancora ben chiaro che cosa sta accadendo all' economia americana. Gli ultimi dati resi noti dicono che va bene, ma si tratta di numeri relativi alla situazione di qualche mese fa. E i dubbi rimangono per quanto riguarda il futuro. Ma le Borse, si sa, guardano appunto avanti, non indietro.

Inoltre, i mercati corrono ormai da qualche anno, praticamente senza interruzioni. E un po' tutti sono convinti che avrebbero dovuto fermarsi già da tempo. Ma vanno avanti perché nel mondo c'è una montagna di liquidità che non sa bene dove andare a sbattere la testa. Tutti, però, sanno che stanno camminando un po' sul filo del rasoio.

Da qualche tempo c'è, comunque, un elemento in più di inquietudine: si tratta dei prestiti sub-prime. In termini meno tecnici si può dire che sono prestiti immobiliari fatti alla clientela meno sicura, cioè quella un po' più a rischio. Una volta una questione del genere sarebbe rimasta confinata dentro alle banche erogatrici del prestito. Ogni istituto fa le sue scelte e può capitargli di dare del denaro anche a clienti non molto affidabili. Di solito si garantisce con ipoteche, fideiussioni e altro.

Insomma, sono faccende che riguardano la banca e il suo modo di gestire gli affari. Può anche succedere che qualche somma non ritorni indietro perché il cliente, alla fine, risulta insolvente. In questo caso la banca ha le sue ipoteche e, nella peggiore delle ipotesi, ha i suoi fondi di garanzia, le sue riserve. E' attrezzata, per dirla con poche parole, per affrontare anche le perdite su prestiti. Ma da qualche tempo le cose non sono così semplici. Sono cambiate e sono cambiate in un modo che, oggi, spaventa i mercati.

Il meccanismo del credito immobiliare (ma anche quello commerciale o per i private equity) funziona in un modo diverso. La banca eroga il credito a clienti di varia natura, poi «impacchetta» questi stessi crediti in obbligazioni e vende il tutto.

Chi compra questi obbligazioni, riceve in cambio una cedola (dei dividendi, grosso modo), che vengono finanziati con il pagamento dei debiti dei clienti. In termini ancora più chiari. La banca dà un milione di euro al signor Rossi per comprarsi una casa. Poi trasforma il milione dato al signor Rossi (e altri cento prestiti analoghi a altrettanti signori Rossi) in obbligazioni che vengono vendute a qualche Fondo di investimento. Mano a mano che i signori Rossi restituiscono i soldi, il Fondo ha i soldi per dare un dividendo a quelli che hanno comprato le quote di quello stesso Fondo.

Il meccanismo è ingegnoso. In questo modo, infatti, le banche liberano i loro conti dal peso dei prestiti fatti. Questi stessi prestiti, attraverso il meccanismo appena descritto, sono stati «venduti» a altri, cioè al mercato. In genere, a dei Fondi, i quali hanno poi venduto loro quote alla clientela minuta. Le banche, quindi, hanno i loro bilanci liberi e possono ricominciare il gioco.

L´aspetto interessante di questo meccanismo (di uso crescente e ormai quasi universale) è che quello che una volta era il «rischio bancario» (prestare soldi alla gente, che può restituirli oppure no) viene trasferito al mercato, cioè a noi. Se i vari signori Rossi non pagano le rate del mutuo, questo non è più un problema della banca (che ha «venduto» l´operazione), ma del Fondo che l´ha comprata e dei clienti che hanno comprato le quote di quel Fondo.

Il secondo aspetto interessante (e inquietante) del meccanismo è che noi, cittadini-sottoscrittori del Fondo, non siamo delle banche, non abbiamo fondi di garanzia, non abbiamo riserve, non abbiamo un patrimonio accumulato negli anni e messo lì apposta per far fronte alle eventuali insolvenze. Se qualcosa va storto, se ci accorgiamo che il mercato dei prestiti immobiliari comincia a fare acqua, ci spaventiamo (giustamente) e il nostro unico desiderio è quello di esserci coinvolti il meno possibile. E quindi cominciamo a vendere. Non abbiamo altra possibilità. E le Borse scendono (anche i gestori dei Fondi vendono).

Ecco, oggi ci troviamo esattamente a questo punto. Il mercato dei prestiti immobiliari sub-prime, in America, mostra segni di debolezza (per non dire di peggio), e la platea dei piccoli risparmiatori (che vi è coinvolta, suo malgrado) mostra segni crescenti di nervosismo. Come dice qualche esperto, può trattarsi solo di un temporale estivo. In qualche modo, magari, la falla dei prestiti sub-prime verrà arginata e il meccanismo andrà avanti. Ma potrebbe anche non essere un temporale estivo, e potrebbe trasformarsi in qualcosa di assai più pericoloso. Per ora nessuno è in grado di dirlo. Intanto, le Borse hanno preso le loro prime legnate, e non è affatto detto che siamo le ultime. Si vedrà nei prossimi giorni.

Tutto quello che sappiamo, al momento, è che, attraverso il meccanismo che abbiamo descritto sopra, tutti noi (se abbiamo comperato quote di Fondi) siamo coinvolti in qualche forma di prestito (immobiliare, commerciale o a Fondi di private equity, o altro), pur non essendo delle banche. E già questo dovrebbe farci un po' di paura.

Fondi Comuni di Investimento

da un articolo della stampa specializzata del 13 Lug 2006

Ieri l'ufficio studi di Mediobanca ha pubblicato la XV edizione della sua annuale indagine sui fondi comuni d'investimento e sicav italiani. I risultati sono, come al solito, sconfortanti. Oltre 60 miliardi di euro distrutti da questi strumenti negli ultimi sette anni.

Per ottenere questo "bel risultato", sempre negli ultimi sette anni, il complesso dei fondi analizzati dallo studio ha prelevato oltre 38 miliardi di euro di oneri di gestione (includendo solo le commissioni riconosciute alla banca depositaria ed alla società di gestione). Il complesso dei costi a carico dei fondi (e quindi, indirettamente, dei sottoscrittori) è molto più alto includendo tutti gli altri oneri (ad esempio, di oneri di negoziazione dei titoli). Solo nel 2005, il complesso dei fondi analizzati (1172 fondi e sicav italiane) hanno prelevato oltre 5 miliardi di euro di oneri di gestione, con un aumento del 5,2%, un vero e proprio salasso del tutto ingiustificato.

Sul piano dei rendimenti, il 2005 apparentemente può sembrare positivo (6,3% del 2005 contro il 3% del 2004), ma se confrontato – come deve essere confrontato – con l'andamento del mercato in cui questi fondi investono, arrivano le note dolenti. Ad esempio, i fondi azionari hanno reso un (apparentemente eccellente) 18,2%; molto peggio del rendimento medio delle borse mondiali: 26,4%.

Un dato positivo, per i risparmiatori, sembrerebbe emergere dall'indagine di quest'anno: nel 2005 i riscatti hanno superato le nuove sottoscrizioni di 15,3 miliardi di euro; si tratta del secondo record storico negativo dopo quello del 2004 pari a 22,1 miliardi. Il trend negativo e' confermato anche dai dati ufficiali del primo semestre del 2006.

Si potrebbe dedurre che gli investitori italiani iniziano a comprendere che sottoscrivere questi prodotti rappresenta uno sperpero di denaro e quindi li penalizzano. Vorremmo che fosse così, ma temiamo che la verità sia ben diversa: le banche stanno semplicemente dirottando i risparmi dei propri clienti verso prodotti ancora più inefficienti e costosi dei fondi comuni d'investimento analizzati dallo studio di Mediobanca. Prodotti come polizze unit-linked, obbligazioni strutturare, gestioni patrimoniali in quote di fondi (che impiegano prevalentemente fondi estero-vestiti), ecc.

La distruzione dei risparmi degli investitori italiani, quindi, continua...e si aggrava.

domenica 1 luglio 2007

Investire in oro


Perchè investire in oro:

I motivi per cui si investe in oro sono rimasti gli stessi nel corso della storia:

  1. Riserva di valore nel tempo;
  2. bene rifugio;
  3. alta liquidità;
  4. diversificazione.
L’oro è stato utilizzato come “riserva monetaria” perché ha svolto funzione di denaro
  1. è portabile e divisibile. Il suo peso determina facilmente il valore dell’oggetto;
  2. è indistruttibile;
  3. è facilmente riconoscibile ed accettabile in forma di pagamento.
Sia in tempi di crisi che in tempi di prosperità l’oro resiste. La ciclicità del mercato è un fatto storico ed appurato, ma l’oro riesce a mantenere il proprio valore nel tempo. Per contro, molte valute (compreso il dollaro U.S.A.) e le materie prime industriali hanno di solito perso valore. Questo perché l’oro è spesso acquistato per coprirsi dai rischi di inflazione e dalla fluttuazione delle valute e anche perché molti investitori in tutto il mondo vedono l’oro come bene rifugio da ultima spiaggia, parte importante e sicura del loro portafoglio investimenti. L ’oro ha mantenuto il proprio valore rispetto al tasso d’inflazione americano negli ultimi 200 anni.
In altre parole, il valore dell’oro - ovvero ciò che si può acquistare in merci o servizi - è rimasto piuttosto stabile nel tempo. Per esempio, un abito da uomo nel 16mo secolo in Inghilterra al tempo di Re Enrico VIII costava l’equivalente di un’oncia d’oro, prezzo che si può pagare anche adesso per un abito moderno.

Bene rifugio

L’oro è conosciuto come bene rifugio. Nella storia, le valute nazionali hanno avuto notevoli oscillazioni mentre l’oro è rimasto piuttosto stabile. Non è direttamente influenzato dalle politiche economiche di ogni singolo paese e non può essere ripudiato o “congelato” come nel caso di alcuni beni cartacei. Per queste ragioni, un quarto di tutto l’oro esistente è detenuto dai governi, banche centrali o altre istituzioni ufficiali sotto forma di riserve monetarie internazionali.
Nulla ci suggerisce che la capacità dell’oro di mantenere inalterato nel tempo il suo valore cambierà nel futuro, anche se da qualche tempo, valute come il dollaro U.S.A. ed il Franco Svizzero sono divenute sempre più appetibili beni rifugio.

Alta liquidità

L’oro è uno tra i beni economici mondiali maggiormente “liquidi”. Può essere prontamente venduto 24 ore su 24 in uno o più mercati in tutto il mondo. Questo non può essere detto per altri tipi d’investimento includendo titoli od azioni delle maggiori società o enti mondiali. In più le commissioni di compravendita sull’oro sono comparabili a quelle di azioni ed obbligazioni (titoli considerati liquidi).
Infine, il tempo necessario per eseguire operazioni sia sull’oro che su azioni od obbligazioni e praticamente identico.

Patrimonio diversificato

Che il vostro modo di investire sia aggressivo piuttosto che conservatore, l’oro può giocare un ruolo importante diversificando il portafoglio. Per questa ragione, molti investitori sono spinti ad investire parte del loro portafoglio in oro.
Siccome gran parte dei portafogli sono composti per larga parte da azioni ed obbligazioni, aggiungendo oro si diversifica notevolmente. La diversificazione del portafoglio nasce dall’esigenza di protezione contro le fluttuazioni del valore di ciascun settore d’investimento.
L’oro fa proprio questo. La caratteristica dell’oro di essere un ottimo “diversificatore” è dovuta dalla sua limitata correlazione con l’andamento delle azioni ed obbligazioni. Le forze economiche che determinano il prezzo dell’oro sono differenti, ed in molti casi contrarie a quelle che determinano i prezzi di altri beni. Ad esempio il prezzo di un’azione dipende dalle voci di potenziali crescite della compagnia che rappresentano; dall’altro lato il prezzo di un’obbligazione nasce dalla stabilità della società, dal rendimento dei fondi investiti.
Il prezzo dell’oro, dipende da diversi fattori come la domanda e l’offerta, l’andamento del dollaro U.S.A., il tasso d’inflazione ed i tassi d’interesse. Mentre l’effetto di questi fattori sull’oro sono alquanto complessi, il punto fondamentale da ricordare è che questi elementi fanno muovere il prezzo dell’oro indipendentemente dal prezzo degli altri beni in portafoglio.
L’oro è il solo bene che è “negativamente correlato” con gli altri settori d’investimento. Dunque, il suo prezzo si muove generalmente nella direzione opposta rispetto agli altri beni come il mercato azionario americano, buoni del Tesoro ed obbligazioni.

Fonte: World Gold Council

Oro da investimento

In questi periodi di globalizzazione totale, new-economy, e trading on-line, è avvenuta una rivoluzione in Italia nel settore degli investimenti finanziari di notevole importanza, alla quale i mass media non hanno dato il risalto dovuto.
Dal febbraio 2000, infatti, a seguito dell’entrata in vigore della Legge n. 7/2000 è stato abolito il monopolio sull’oro che ha permesso finalmente anche ai risparmiatori privati di acquistare monete e lingotti di oro fino in esenzione da I.V.A.! Fino a quel momento, il “bene rifugio” per eccellenza, era considerato dagli investitori come un miraggio, simbolo di ricchezza e benessere.
Oggi non è più così, chiunque avrà la possibilità di poter entrare con facilità in possesso di oro puro, bene che ha mantenuto intatto nei secoli il proprio valore.
La Legge n. 7/2000, ha affidato il commercio di oro da investimento a società con determinati requisiti.

Fonte: http://www.numismatica.it/

Link: Quotazione oro

[1 oncia (oncia di Troy) = 31,1035 g.]