C’è pochissimo in economia che chiami in causa il sovrannaturale. Ma c’è un fenomeno che è stato per molti una tentazione in tal senso. Guardando un foglio rettangolare, spesso di mediocre qualità, che raffigura un eroe nazionale o un monumento o un’immagine classica vagamente ispirata a Pieter Paul Rubens o a Jacques-Louis David o a un mercato di verdura particolarmente ben fornito e stampato con inchiostro verde o marrone, essi si sono posti questa domanda: Perché una cosa che in sé è così priva di valore deve essere così evidentemente desiderabile?
La moneta nasce come una merce le cui caratteristiche di grande duttilità e fungibilità ne consentono l’utilizzazione prevalente per l’attività di scambio. Una moneta d’oro equivaleva a cinque pecore, due cavalli o trenta medimni di grano (a seconda della maggiore o minore scarsità di pecore, cavalli o grano) ed era pertanto agevole portare con sé grandi quantità di questi e degli altri pochi generi di beni disponibili sotto forma di oro cosa che facilitava enormemente gli scambi di merci.
In un contesto di scarsità generale delle merci l’andamento dei prezzi tendeva al rialzo in periodi di maggiore scarsità ed al ribasso in periodi di relativa abbondanza mantenendo, però, un sostanziale equilibrio nel senso che ad una determinata quantità di oro (sotto forma di moneta) corrispondeva nel lungo periodo in media una determinata quantità di beni di ciascun genere (1). La conquista delle Americhe e la grande importazione d’oro operata dalla Spagna nel periodo successivo produssero un incremento del prezzo dei beni (2) (la cui scarsità era rimasta costante) ed una sostanziale inflazione della moneta aurifera ma in sostanza la natura della moneta non ha subito mutamenti sostanziali sino all’invenzione della moneta cartacea.
Poco prima della rivoluzione francese la Banca d’Inghilterra cominciò ad emettere certificati per importi di metalli preziosi pari al valore di quelli depositati presso le sue casse. Questi certificati erano sempre convertibili nell’oro o negli altri metalli fisicamente esistenti presso i forzieri della Banca, ma la loro circolazione era più agevole e molto più sicura dell’oro stesso, sempre esposto ai rischi di eventi delittuosi. Molti altri paesi seguirono l’esempio dell’Inghilterra e nacquero così le varie monete in forma cartacea.
Naturalmente tutti rispettavano in qualche misura il principio della convertibilità finché la crisi del ’29 non mise in evidenza che la grande capacità produttiva dei paesi anglosassoni, di gran lunga superiore a quella degli altri paesi europei, generava scarsità di oro e di altri metalli preziosi e quindi scarsità di moneta. Questo squilibrio tra la quantità di oro e di relativa moneta in circolazione e la massa di beni prodotta soprattutto dagli Stati Uniti si tradusse in crisi di sovrapproduzione negli stessi Stati Uniti le cui industrie non riuscivano più a vendere i propri prodotti a causa della fisica impossibilità degli Stati di emettere moneta per l’esaurimento delle riserve di oro e di altri preziosi.
Per uscire dalla crisi gli Stati cominciarono ad emettere moneta senza corrispettivo in preziosi o altre valute nelle proprie casse allo scopo di cercare di rivitalizzare le proprie economie. Ovviamente furono anche emanate norme che vietavano la conversione della moneta in oro o altri preziosi poiché tale corrispondenza veniva sostanzialmente a mancare. Naturalmente questa stampa di banconote a vuoto generava inflazione nella misura in cui la massa monetaria diveniva maggiore dei beni in circolazione e produceva un generale rialzo dei prezzi scatenando spirali inflazionistiche che in Europa furono tenute sotto controllo solo a mezzo di una feroce repressione attuata dalle dittature che salirono al potere tra le due guerre mondiali. Allo stesso tempo i governi cominciarono ad emettere titoli di debito pubblico in misura consistente a mezzo dei quali finanziarono soprattutto la costruzione di grandi infrastrutture di pubblica utilità che consentirono un generale salto di qualità del sistema economico. L’inflazione venne controllata a mezzo di una sostanziale riduzione dei salari, mentre le eccedenze della massa monetaria che il sistema produceva vennero utilizzate, oltre che per le opere pubbliche, per l’industria delle armi nella convinzione che le conquiste territoriali avrebbero consentito la necessaria redistribuzione delle ricchezze tra i popoli.
Nel dopoguerra la politica di deficit di bilancio (così viene chiamata la stampa di moneta senza corrispettivo) ha caratterizzato la politica economica di tutti i governi del mondo al punto che le riserve aurifere sono divenute una porzione insignificante dei beni fronte della massa monetaria. Al sistema della convertibilità di tutte le monete in oro o altri preziosi venne sostituito, con gli accordi di Bretton Woods, il sistema della convertibilità delle monete nel dollaro americano che solo manteneva un rapporto con l’oro. Per evitare eccessivi squilibri tra le monete venne istituito il Fondo Monetario Internazionale alla cui creazione contribuirono essenzialmente gli Stati Uniti e l’Inghilterra ma al quale aderirono praticamente tutti gli Stati del mondo poiché solo in quel modo era possibile garantire la convertibilità della propria moneta e quindi l’accesso al mercato mondiale.
Il FMI interveniva a mezzo di prestiti a medio e lungo termine per mantenere l’equilibrio tra le monete dei vari Stati ed evitare tensioni e speculazioni eccessive sui mercati valutari. Questo sistema ha prodotto due effetti: da un lato ha indotto gli Stati a convertire le proprie riserve in dollari americani - e ciò ha consentito agli americani di stamparne in quantità incontrollata poiché il valore della banconota era sostenuto artificialmente dall’eccesso di domanda - dall’altro ha incrementato a dismisura la massa monetaria mondiale. In alcuni paesi, politicamente deboli ed economicamente in crescita, negli anni ’60, l’eccessivo incremento della massa monetaria ha prodotto violente ondate inflattive che hanno a loro volta determinato riflusso economico e tensioni sociali e politiche. A determinare queste situazioni, ovviamente, non è stato estraneo il FMI che ha gestitola propria politica di credito con criteri principalmente politici, ma complessivamente il sistema ha funzionato finché l’economia mondiale è stata in crescita, ovvero sino alla prima grande crisi petrolifera del 1972. Le restrizioni operate a seguito della crisi e la generale necessità di valuta hanno determinato allora la crisi del dollaro e la conseguente abolizione del sistema della convertibilità istituito con gli accordi di Bretton Woods.
Da allora il valore delle monete, svincolato da un qualsivoglia legame sia pure indiretto con l’oro o altri preziosi, è stato determinato solo in funzione dei rapporti politici e dei rapporti di forza sul mercato valutario. La continua crescita della massa monetaria comporta una progressiva riduzione della funzione politica di controllo delle monete. Di fatto oggi è il mercato che stabilisce il rapporto di forza tra le valute e nel mercato perdono progressivamente di peso gli interventi delle banche centrali e degli Stati poiché è aumentato in maniera rilevantissima il numero dei gruppi finanziari ed economici privati in possesso di mezzi valutari e risorse persino maggiori di quelle di molti Stati del mondo.
Come è apparso evidente nella crisi del ’92, anche un Stato industrializzato come l’Italia, pure appoggiato dai paesi aderenti allo SME, non è stato in grado di sostenere la propria moneta sottoposta alle pressioni della speculazione internazionale. La politica monetaria ha quindi assunto sempre più importanza e la determinazione del tasso di sconto è divenuto terreno di scontro tra le forze politiche.
L’indebitamento degli Stati si è innalzato a livelli impensabili e quindi il tasso di sconto è divenuto l’unico strumento per garantire il pagamento degli interessi sul debito che altrimenti costringerebbe molti Stati a dichiarare bancarotta (ovvero a consolidare il proprio debito). Il problema è però che un elevato tasso di sconto attira capitali finanziari ma allontana capitali di investimento costretti a subire un livello di fiscalizzazione troppo elevato. Nel medio periodo le politiche monetarie deprimono l’economia produttiva per la quale, in fondo, è del tutto irrilevante uno scostamento di mezzo punto in su o giù del tasso di sconto ma che vivono della circolazione del capitale monetario. E’ evidente che questo sistema è destinato a finire rapidamente. Neppure l’istituzione della moneta unica, che pure limita le possibilità di azione della speculazione finanziaria, può salvare il sistema dato che le diverse capacità produttive nelle diverse aree del paese non sono più temperate dall’ammortizzatore valutario ed oltretutto il problema del debito pubblico rimane in tutta la sua pesantezza.
Attualmente in Italia le riserve aurifere sono poco più dell’1% del totale della massa monetaria, mentre per ragioni diciamo così estetiche continua a comparire sulle banconote la dizione tipica della convertibilità (£ 1.000 pagabili a vista al portatore) nonostante ciò sia vietato per legge da circa 70 anni. L’unico vantaggio che è derivato da tale situazione è che la massa monetaria è lievitata in maniera smisurata fino a raggiungere oggi in Italia la considerevole cifra di oltre 7 milioni di miliardi di lire.
Ovviamente il divieto della convertibilità e l’emissione a vuoto (ovvero in funzione di una percentuale sul PIL di poco superiore alla inflazione corrente) di banconote ha radicalmente mutato la natura stessa della moneta. Essa è infatti divenuta misura del valore dei beni prodotti dalla collettività ed il suo valore è dato dalla convenzione giuridica universalmente accettata che glielo conferisce.
E’ evidentemente ingiusto un sistema in cui una merce non tassabile, il capitale monetario, generi enormi ricchezze senza produrre alcunché. Infatti il capitale monetario non produce ricchezza ma si appropria all’origine di ricchezza prodotta da altri nell’economia reale e sarà questa a riprendere, prima o poi la supremazia. In questo sistema i valori monetari nascondono ricchezza reale che viene sottratta a chi la produce per essere distribuita in maniera ineguale nel mercato finanziario sulla base di rapporti di forza e non di capacità produttive. Le emissioni monetarie ed i titoli del debito pubblico sono gli strumenti a mezzo dei quali viene operata questa indebita appropriazione di ricchezza.
Il sistema monetarista cesserà di esistere nel momento in cui le nuove tecnologie produrranno milioni di transazioni finanziarie connesse al mondo della produzione e quindi estranee alla logica della finanza pura. Infatti se per gestire una enorme quantità di moneta un piccolo gruppo di persone trova certamente conveniente investire in massa in operazioni di pura speculazione finanziaria, i milioni di piccoli operatori che muovono ciascuno la propria microscopica frazione di capitale, si rivolgeranno con maggiore decisione verso il mondo della produzione dal quale possono trarre concreti benefici e più alti profitti. Allora o la remunerazione del capitale di rendita diviene maggiore di quello produttivo, ma questo è evidentemente assurdo, oppure non ci sarà tasso di sconto in grado di attirare capitali finanziari a sufficienza e sarà quindi necessario il consolidamento del debito pubblico. Per evitare questa sciagurata iattura c’è solo la via della tassazione del capitale monetario e della liberazione della produzione e del consumo da ogni sorta di imposte.
Abbiamo visto che la moneta, all’atto della sua emissione si appropria, senza corrispettivo, di ricchezza generata nel mondo della produzione.
La pretesa della moderna teoria di considerare la moneta un valore creditizio è evidentemente errata poiché comporta che ad ogni emissione monetaria si genera un debito per i cittadini la cui ricchezza invece costituisce la base del valore della moneta, con l’assurda conseguenza che i cittadini la moneta la pagano due volte, la prima all’atto dell’emissione, caricandosi il relativo debito a carico dello Stato, la seconda con il lavoro necessario per produrla.
Per effetto di questa perversa e truffaldina imposizione delle banche centrali, che in questa maniera si impadroniscono di risorse prodotte dai cittadini, ogni attività produttiva è divenuta fonte di debito invece che di guadagno e l’affanno generalizzato che domina la società contemporanea è frutto di questa vera e propria truffa organizzata dalle banche centrali in danno dei cittadini.
E’ ora che i cittadini si riapproprino dei valori contenuti nella massa monetaria a mezzi di un sistema che consenta una equa redistribuzione delle ricchezze prodotte che tuteli il diritto alla vita di tutti senza limitare in alcun modo, anzi accelerando all’estremo la capacità produttiva delle nazioni.
NOTE:
(1) Già nell'antica Roma fu sperimentata una sorta di inflazione: la scarsità di oro, infatti, indusse gli imperatori a ridurne progressivamente la quantità nelle leghe che componevano le monete e questo generava aumenti di prezzi.
(2) Apparentemente per la ragione diametralmente opposta a quella che generava aumenti di prezzi nell'antichità. In realtà il problema dell'inflazione è sempre lo stesso: un eccesso di moneta rispetto alla quantità di beni in circolazione determina sotto ogni latitudine un aumento di prezzi.
In un contesto di scarsità generale delle merci l’andamento dei prezzi tendeva al rialzo in periodi di maggiore scarsità ed al ribasso in periodi di relativa abbondanza mantenendo, però, un sostanziale equilibrio nel senso che ad una determinata quantità di oro (sotto forma di moneta) corrispondeva nel lungo periodo in media una determinata quantità di beni di ciascun genere (1). La conquista delle Americhe e la grande importazione d’oro operata dalla Spagna nel periodo successivo produssero un incremento del prezzo dei beni (2) (la cui scarsità era rimasta costante) ed una sostanziale inflazione della moneta aurifera ma in sostanza la natura della moneta non ha subito mutamenti sostanziali sino all’invenzione della moneta cartacea.
Poco prima della rivoluzione francese la Banca d’Inghilterra cominciò ad emettere certificati per importi di metalli preziosi pari al valore di quelli depositati presso le sue casse. Questi certificati erano sempre convertibili nell’oro o negli altri metalli fisicamente esistenti presso i forzieri della Banca, ma la loro circolazione era più agevole e molto più sicura dell’oro stesso, sempre esposto ai rischi di eventi delittuosi. Molti altri paesi seguirono l’esempio dell’Inghilterra e nacquero così le varie monete in forma cartacea.
Naturalmente tutti rispettavano in qualche misura il principio della convertibilità finché la crisi del ’29 non mise in evidenza che la grande capacità produttiva dei paesi anglosassoni, di gran lunga superiore a quella degli altri paesi europei, generava scarsità di oro e di altri metalli preziosi e quindi scarsità di moneta. Questo squilibrio tra la quantità di oro e di relativa moneta in circolazione e la massa di beni prodotta soprattutto dagli Stati Uniti si tradusse in crisi di sovrapproduzione negli stessi Stati Uniti le cui industrie non riuscivano più a vendere i propri prodotti a causa della fisica impossibilità degli Stati di emettere moneta per l’esaurimento delle riserve di oro e di altri preziosi.
Per uscire dalla crisi gli Stati cominciarono ad emettere moneta senza corrispettivo in preziosi o altre valute nelle proprie casse allo scopo di cercare di rivitalizzare le proprie economie. Ovviamente furono anche emanate norme che vietavano la conversione della moneta in oro o altri preziosi poiché tale corrispondenza veniva sostanzialmente a mancare. Naturalmente questa stampa di banconote a vuoto generava inflazione nella misura in cui la massa monetaria diveniva maggiore dei beni in circolazione e produceva un generale rialzo dei prezzi scatenando spirali inflazionistiche che in Europa furono tenute sotto controllo solo a mezzo di una feroce repressione attuata dalle dittature che salirono al potere tra le due guerre mondiali. Allo stesso tempo i governi cominciarono ad emettere titoli di debito pubblico in misura consistente a mezzo dei quali finanziarono soprattutto la costruzione di grandi infrastrutture di pubblica utilità che consentirono un generale salto di qualità del sistema economico. L’inflazione venne controllata a mezzo di una sostanziale riduzione dei salari, mentre le eccedenze della massa monetaria che il sistema produceva vennero utilizzate, oltre che per le opere pubbliche, per l’industria delle armi nella convinzione che le conquiste territoriali avrebbero consentito la necessaria redistribuzione delle ricchezze tra i popoli.
Nel dopoguerra la politica di deficit di bilancio (così viene chiamata la stampa di moneta senza corrispettivo) ha caratterizzato la politica economica di tutti i governi del mondo al punto che le riserve aurifere sono divenute una porzione insignificante dei beni fronte della massa monetaria. Al sistema della convertibilità di tutte le monete in oro o altri preziosi venne sostituito, con gli accordi di Bretton Woods, il sistema della convertibilità delle monete nel dollaro americano che solo manteneva un rapporto con l’oro. Per evitare eccessivi squilibri tra le monete venne istituito il Fondo Monetario Internazionale alla cui creazione contribuirono essenzialmente gli Stati Uniti e l’Inghilterra ma al quale aderirono praticamente tutti gli Stati del mondo poiché solo in quel modo era possibile garantire la convertibilità della propria moneta e quindi l’accesso al mercato mondiale.
Il FMI interveniva a mezzo di prestiti a medio e lungo termine per mantenere l’equilibrio tra le monete dei vari Stati ed evitare tensioni e speculazioni eccessive sui mercati valutari. Questo sistema ha prodotto due effetti: da un lato ha indotto gli Stati a convertire le proprie riserve in dollari americani - e ciò ha consentito agli americani di stamparne in quantità incontrollata poiché il valore della banconota era sostenuto artificialmente dall’eccesso di domanda - dall’altro ha incrementato a dismisura la massa monetaria mondiale. In alcuni paesi, politicamente deboli ed economicamente in crescita, negli anni ’60, l’eccessivo incremento della massa monetaria ha prodotto violente ondate inflattive che hanno a loro volta determinato riflusso economico e tensioni sociali e politiche. A determinare queste situazioni, ovviamente, non è stato estraneo il FMI che ha gestitola propria politica di credito con criteri principalmente politici, ma complessivamente il sistema ha funzionato finché l’economia mondiale è stata in crescita, ovvero sino alla prima grande crisi petrolifera del 1972. Le restrizioni operate a seguito della crisi e la generale necessità di valuta hanno determinato allora la crisi del dollaro e la conseguente abolizione del sistema della convertibilità istituito con gli accordi di Bretton Woods.
Da allora il valore delle monete, svincolato da un qualsivoglia legame sia pure indiretto con l’oro o altri preziosi, è stato determinato solo in funzione dei rapporti politici e dei rapporti di forza sul mercato valutario. La continua crescita della massa monetaria comporta una progressiva riduzione della funzione politica di controllo delle monete. Di fatto oggi è il mercato che stabilisce il rapporto di forza tra le valute e nel mercato perdono progressivamente di peso gli interventi delle banche centrali e degli Stati poiché è aumentato in maniera rilevantissima il numero dei gruppi finanziari ed economici privati in possesso di mezzi valutari e risorse persino maggiori di quelle di molti Stati del mondo.
Come è apparso evidente nella crisi del ’92, anche un Stato industrializzato come l’Italia, pure appoggiato dai paesi aderenti allo SME, non è stato in grado di sostenere la propria moneta sottoposta alle pressioni della speculazione internazionale. La politica monetaria ha quindi assunto sempre più importanza e la determinazione del tasso di sconto è divenuto terreno di scontro tra le forze politiche.
L’indebitamento degli Stati si è innalzato a livelli impensabili e quindi il tasso di sconto è divenuto l’unico strumento per garantire il pagamento degli interessi sul debito che altrimenti costringerebbe molti Stati a dichiarare bancarotta (ovvero a consolidare il proprio debito). Il problema è però che un elevato tasso di sconto attira capitali finanziari ma allontana capitali di investimento costretti a subire un livello di fiscalizzazione troppo elevato. Nel medio periodo le politiche monetarie deprimono l’economia produttiva per la quale, in fondo, è del tutto irrilevante uno scostamento di mezzo punto in su o giù del tasso di sconto ma che vivono della circolazione del capitale monetario. E’ evidente che questo sistema è destinato a finire rapidamente. Neppure l’istituzione della moneta unica, che pure limita le possibilità di azione della speculazione finanziaria, può salvare il sistema dato che le diverse capacità produttive nelle diverse aree del paese non sono più temperate dall’ammortizzatore valutario ed oltretutto il problema del debito pubblico rimane in tutta la sua pesantezza.
Attualmente in Italia le riserve aurifere sono poco più dell’1% del totale della massa monetaria, mentre per ragioni diciamo così estetiche continua a comparire sulle banconote la dizione tipica della convertibilità (£ 1.000 pagabili a vista al portatore) nonostante ciò sia vietato per legge da circa 70 anni. L’unico vantaggio che è derivato da tale situazione è che la massa monetaria è lievitata in maniera smisurata fino a raggiungere oggi in Italia la considerevole cifra di oltre 7 milioni di miliardi di lire.
Ovviamente il divieto della convertibilità e l’emissione a vuoto (ovvero in funzione di una percentuale sul PIL di poco superiore alla inflazione corrente) di banconote ha radicalmente mutato la natura stessa della moneta. Essa è infatti divenuta misura del valore dei beni prodotti dalla collettività ed il suo valore è dato dalla convenzione giuridica universalmente accettata che glielo conferisce.
E’ evidentemente ingiusto un sistema in cui una merce non tassabile, il capitale monetario, generi enormi ricchezze senza produrre alcunché. Infatti il capitale monetario non produce ricchezza ma si appropria all’origine di ricchezza prodotta da altri nell’economia reale e sarà questa a riprendere, prima o poi la supremazia. In questo sistema i valori monetari nascondono ricchezza reale che viene sottratta a chi la produce per essere distribuita in maniera ineguale nel mercato finanziario sulla base di rapporti di forza e non di capacità produttive. Le emissioni monetarie ed i titoli del debito pubblico sono gli strumenti a mezzo dei quali viene operata questa indebita appropriazione di ricchezza.
Il sistema monetarista cesserà di esistere nel momento in cui le nuove tecnologie produrranno milioni di transazioni finanziarie connesse al mondo della produzione e quindi estranee alla logica della finanza pura. Infatti se per gestire una enorme quantità di moneta un piccolo gruppo di persone trova certamente conveniente investire in massa in operazioni di pura speculazione finanziaria, i milioni di piccoli operatori che muovono ciascuno la propria microscopica frazione di capitale, si rivolgeranno con maggiore decisione verso il mondo della produzione dal quale possono trarre concreti benefici e più alti profitti. Allora o la remunerazione del capitale di rendita diviene maggiore di quello produttivo, ma questo è evidentemente assurdo, oppure non ci sarà tasso di sconto in grado di attirare capitali finanziari a sufficienza e sarà quindi necessario il consolidamento del debito pubblico. Per evitare questa sciagurata iattura c’è solo la via della tassazione del capitale monetario e della liberazione della produzione e del consumo da ogni sorta di imposte.
Abbiamo visto che la moneta, all’atto della sua emissione si appropria, senza corrispettivo, di ricchezza generata nel mondo della produzione.
La pretesa della moderna teoria di considerare la moneta un valore creditizio è evidentemente errata poiché comporta che ad ogni emissione monetaria si genera un debito per i cittadini la cui ricchezza invece costituisce la base del valore della moneta, con l’assurda conseguenza che i cittadini la moneta la pagano due volte, la prima all’atto dell’emissione, caricandosi il relativo debito a carico dello Stato, la seconda con il lavoro necessario per produrla.
Per effetto di questa perversa e truffaldina imposizione delle banche centrali, che in questa maniera si impadroniscono di risorse prodotte dai cittadini, ogni attività produttiva è divenuta fonte di debito invece che di guadagno e l’affanno generalizzato che domina la società contemporanea è frutto di questa vera e propria truffa organizzata dalle banche centrali in danno dei cittadini.
E’ ora che i cittadini si riapproprino dei valori contenuti nella massa monetaria a mezzi di un sistema che consenta una equa redistribuzione delle ricchezze prodotte che tuteli il diritto alla vita di tutti senza limitare in alcun modo, anzi accelerando all’estremo la capacità produttiva delle nazioni.
NOTE:
(1) Già nell'antica Roma fu sperimentata una sorta di inflazione: la scarsità di oro, infatti, indusse gli imperatori a ridurne progressivamente la quantità nelle leghe che componevano le monete e questo generava aumenti di prezzi.
(2) Apparentemente per la ragione diametralmente opposta a quella che generava aumenti di prezzi nell'antichità. In realtà il problema dell'inflazione è sempre lo stesso: un eccesso di moneta rispetto alla quantità di beni in circolazione determina sotto ogni latitudine un aumento di prezzi.
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