Oddino Guarnieri è certamente uno dei pittori più famosi e prolifici nel panorama italiano dell’ultimo cinquantennio. Egli ha interagito con innumerevoli personalità sia in ambito artistico sia nel campo della critica e le sue opere si trovano tra le maggiori collezioni pubbliche e private italiane ed estere. Ma per giungere ad essere l’artista che noi oggi stimiamo, anch’egli ha dovuto attraversare un periodo di intensa e affascinante gavetta. A conferma di quanto scritto, basta osservare i primordi della sua carriera, rappresentati da alcune tavole riemerse dopo sessanta anni, per vedere come, fin dalle prime pennellate, emergono chiaramente dei tratti distintivi che diventeranno le costanti del suo essere pittore. Dipinti su tavola tra il 1949 e il 1952, questi podromi sono opere nate da riflessioni e studi che il giovane Guarnieri ha compiuto dopo aver visto, in compagnia del maestro Ugo Boccato (pittore attivo durante il secondo dopoguerra), la grande mostra parigina dedicata a W. Kandinsky. Da essi si può notare come l’artista fin da allora sia immerso in sperimentalismi culturali e tecnici in cui si manifesta la sua forte gestualità costituita da una fusione di istinto e ragione, sospinta dal piacere della scoperta e dal desiderio di andare oltre il contingente. Il primo dipinto, risalente al 1949, rappresenta un ambiente domestico. In esso il realismo colloquiale e quotidiano, quasi compassato, degli arredi e del mobilio è già percorso da quell’ansia pittorica che esploderà nella maturità dell’artista: il colore, steso sia con campiture corpose e intense sia con strisce luminose, si trasforma da elemento visivo a mezzo di indagine psico-analitica interiore sul soggetto. Seguono poi altre quattro opere (rispettivamente del 1950, del 1951 e due del 1952) nelle quali Guarnieri, rapito dalla sua voracità culturale, sente la necessità di confrontarsi con gli esiti delle avanguardie quali l’astrattismo e il futurismo. Nascono perciò delle “prove di studio”, come le definisce egli stesso, con cui si concretizza l’evoluzione del concetto di colore, ora inteso non solo come indagine ma anche come veicolo di espressività ed emotività. Esso dunque assume una nuova specificità capace di narrare le storie, le passioni e le riflessioni dell’uomo contemporaneo traslando l’obbiettivo dal soggetto al concetto. Il pigmento, scorrendo e scattando sulla tela, nell’incresparsi, nel raggrumarsi e nello sfilacciarsi crea accostamenti cromatici, talvolta dallo spessore tridimensionale (come si vede in alcune gocce di materia presenti sul supporto), che danno vita a evoluzioni centriche, forme geometriche, quali triangoli e cerchi, capaci di generare movimento visivo e coinvolgimento. Seppur siano considerati dal pittore stesso degli studi, questi lavori sono, come si accennava poc’anzi, organizzati e calibrati secondo una logica creativa in cui anche l’atto pittorico risponde ad una analisi ricca di significati sensibili che esploderà in seguito.
Siro Perin
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