Con la mostra del maestro prof. David Marinotto si conclude la rassegna di esposizioni promossa dall’associazione I.R.I.S., dedicata alla scuola di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, con la quale abbiamo già avuto modo di ammirare le opere di maestri come A. Viani e G.F. Tramontin. E’ naturale perciò individuare nell’opera di Marinotto delle affinità culturali e ideali condivise con i maestri che lo hanno preceduto. Infatti si possono cogliere alcuni spunti comuni a questi tre maestri, come l’importanza del disegno, la conoscenza delle varie esecuzioni tecniche e dei materiali, lo studio della storia dell’arte, gli scambi culturali e l’analisi dei rapporti forma-luce-spazio. Queste analogie ci permettono, quasi per paradosso, di evidenziare da un lato le peculiarità artistiche di Marinotto che lo distinguono dai colleghi e dall’altro i suoi contributi personali a tale scuola di scultura. Utilizzando una sorta di elenco didascalico, cercheremo di sottolineare alcune sue caratteristiche sostanziali. La prima si riconosce dal modo in cui egli coglie l’ispirazione per la realizzazione del soggetto: questo per Marinotto deriva non dalla natura o dalla storia dell’arte, ma dalla sua immaginazione; tutto dunque nasce dalla fervida fantasia dello scultore, la quale si concretizza in una forma che ha lo scopo di generare un dialogo sensibile tra scultore, opera e fruitore. Quest’ultimo, libero da orpelli, ha perciò la possibilità di interpretare liberamente e personalmente i messaggi di tale relazione, come dimostra, in quasi tutte le opere, l’assenza del titolo. La seconda peculiarità si evidenzia nella modalità con cui viene instaurata questa interazione di idee: essa è la concretizzazione di emozioni serene e gioiose o di riflessioni intellettuali che si generano nella mente dello spettatore, veicolate dalle forme dell’opera nel momento in cui egli la sta osservando e contemplando. La terza vede l’estensione di tale influenza reciproca anche alle opere stesse. Marinotto dà vita ad una scultura nella quale anche la materia si relaziona con lo spazio che la circonda e la compenetra, tanto che è il vuoto stesso a divenire forma scultorea delimitata dal pieno. Si crea così un costrutto armonico, equilibrato e composto da due elementi, o per meglio dire, due entità, in colloquio perpetuo tra di loro, talvolta legati per mezzo di sfere d’oro che, oltre ad essere un tocco di luce, sembrano divenire metaforicamente il cuore del rapporto simbiotico. Il dialogo emotivo ed intellettuale che pervade intrinsecamente le statue e che esse riescono ad emanare a chi le osserva, è accentuato dagli effetti che la plastica assume. Essa sembra essere dolcemente modellata dalla luce, tanto da divenire vibrante, opalescente e mutevole allo stesso tempo, quasi che voglia prendere vita. Non vi sono contrappunti o rotture ma sinuosità e dolcezza, e se in alcuni casi sembra quasi di scorgere nelle forme create un sottile antropoformismo, esso è solo un capriccio della materia. Marinotto dunque ha saputo, proprio in nome di quella democraticità culturale tanto cara a Viani, non solo portare il proprio fondamentale contributo alla scuola di scultura nata nelle sedi dell’Accademia, ma anche farla vivere divulgandola al grande pubblico e traghettandola verso il futuro.
Siro Perin
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