Visto che mi sto documentando per realizzare un modellino cartaceo di gondola veneziana, voglio riportare una bellissima descrizione di questa imbarcazione che ne ripercorre la storia dalle origini ai giorni nostri, con l'aggiunta di qualche notizia curiosa. Buona lettura.
E’ stato detto che la gondola non è un complemento di Venezia : la gondola “è” Venezia. Di essa non si conosce però né quando né come è nata, e non è sicuro neppure quale sia l’etimologia del suo nome. A quest’ultimo riguardo, le ipotesi spaziano dal greco “kondu”, che significa coppa o tazza, al napoletano “vongola” quale variante del latino “conchula”, piccola conchiglia (è il Sansovino il proponente di una tale, poco probabile, derivazione). L’ipotesi più accreditata sembra sia una successiva corruzione di pronuncia dal latino “cymbula” o barchetta. A riguardo della sua data di nascita, la prima citazione scritta del vocabolo “gundulam” risale circa all’anno 1000, in un decreto del Doge dell’epoca per dispensare gli abitanti di Loreo dal fornirgliene una, a meno che non lo facessero... volontariamente. Ma l’imbarcazione di cui si trattava era ben diversa dalla gondola quale si verrà configurando successivamente: era, più verosimilmente, una barca a fondo piatto, tozza e panciuta, quale veniva impiegata all’epoca e non solo in laguna. Solo nel tardo quattrocento si trovano alcune incisioni in legno di xilografi tedeschi che riproducono barchette sottili, curve, a fondo piatto, con una piccola tenda al centro ed ornamenti metallici alle estremità che richiamano la forma delle gondole quali noi oggi le conosciamo. Non siamo però ancora alla vera e propria gondola, della quale si avrà una fedele riproduzione soltanto nella famosissima pianta di Venezia dovuta ad Jacopo de Barbari, datata 1500. Si può quindi ritenere che soltanto verso la fine del XV secolo la gondola abbia assunto la fisionomia che poi rimarrà sostanzialmente immutata nei secoli. Ma perché la gondola è fatta così, unica imbarcazione che sembra concepita dissimmetricamente? Non si è neppure sicuri che la sua caratteristica di pencolare sul lato destro sia dovuta all’effettivo volere dei primi costruttori, poiché qualcuno la attribuisce ad una imperfezione dovuta alle rudimentali tecniche costruttive dell’epoca. Perché di primitivi disegni della gondola non risulta traccia nelle carte conservate negli archivi, ove seppure sia possibile reperire schizzi di barche veneziane risalenti al XVI secolo, nessuno di essi si riferisce alla struttura della gondola. Sta di fatto che questo supposto errore di costruzione si è dimostrato una preziosa soluzione ai problemi sia di dare un assetto trasversalmente diritto all’imbarcazione che, se vogata da una sola persona, tenderebbe ad inclinarsi verso sinistra per la posizione che assume il gondoliere, sia di correggere la tendenza ad accostare sulla sinistra nella sua rotta, per effetto della eccentrica spinta del remo sul lato destro E sempre per rimanere sui tentativi di dare spiegazioni etimologiche ai nominativi assegnati a particolari della gondola, sappiamo che, anche se oggi molto in disuso, l’imbarcazione veneziana era un tempo corredata di una piccola cabina al centro, chiamata “felze”. Ebbene, anche di questo termine non si conosce la genesi, e per tentare di sciogliere l’enigma qualcuno ha ventilato l’idea che esso derivi dal fatto che talora la copertura dei primitivi abitacoli (popolarmente “caponere”) era realizzata con felci. Su quanto avvenisse sotto il felze si sono ricamati aneddoti di ogni genere. Ma alla maggior parte dei visitatori stranieri di alta rinomanza che hanno lasciato scritti su Venezia (De Musset, Gorge Sand, Byron, Shelley, Dickens, Twain, per citarne solo alcuni) quella cabina nera sulla gondola nera richiamava l’immagine dovuta a Goethe, di una...bara. E già che siamo in tema: perché le gondole sono tutte dipinte di nero? Nel XVI secolo esse erano dipinte coi colori più splendidi e diversi ed adorne di rifiniture preziose, per le quali le famiglie nobili veneziane facevano a gara nel superarsi in fasto ed originalità. E con esse erano… adornati fantasmagoricamente anche i gondolieri che stavano in “pope” delle gondole di “casada” (così erano denominate le imbarcazioni di proprietà delle famiglie, contro le gondole di “parada” che erano quelle dedicate al servizio pubblico, in particolare di traghetto). Ad un certo punto i reggitori della Serenissima debbono aver pensato che il troppo stroppia, e traverso leggi suntuarie, emanate su iniziativa dei “Provveditori sopra le pompe” posero un freno alle manifestazioni di sfarzo della nobiltà veneziana e, in particolare, imposero che le gondole fossero tutte dipinte di nero (che non era però il colore del lutto: tale era, per Venezia, il rosso). Non è che i veneziani siano stati subito molto ossequienti a queste disposizioni, che per lungo tempo vennero in parte disattese, a costo di multe salate; a dare l’ultima spinta alla colorazione nera delle gondole sembra sia sopravvenuta (ma il fatto non risulta da alcuno scritto) la promessa di dipingere in tal guisa le barche se da chi ne aveva i poteri veniva fatta cessare l’ennesima peste in città. Ed hanno un significato i ferri che vediamo a prora e poppa delle gondole? Probabilmente essi sono nati solo per fini estetici, e magari per creare una sorta di contrappeso al gondoliere sistemato a poppa, ma la tradizione popolare vuol far credere che il ferro di prora (quello di poppa è ormai ridotto ad un semplice ricciolo) abbia nella sua curvatura la riproduzione del berretto dogale, nei sei denti che si protendono in avanti (ma qualche volta sono anche di meno) la raffigurazione dei sestieri (i rioni) veneziani, mentre nel dente verso l’addietro sarebbe rappresentata l’isola della Giudecca. Come si conducono e governano le gondole? Più spesso mediante un unico, lungo, remo (per curiosità, nel ‘500 esso costava circa una lira) appoggiato sulla “forcola”, che di per se stessa ha quasi la forma d’un’opera d’arte moderna. E sembra quasi impossibile che con questo armamentario così rudimentale, possa esser condotta per i tortuosi canali e sotto i ponti veneziani, un’imbarcazione lunga più di 11 metri e larga almeno 1.40. Eppure l’eccezionale abilità dei gondolieri vi riesce, solo aiutata, quando occorra, da qualche potente “ohé” gridato in curva per mettere sull’avviso chi sopravvenisse dal senso opposto. Ma della e sulla gondola, nonché sui gondolieri, che sono stati per secoli i veri rappresentanti della Serenissima Repubblica (e trattati con riguardo dai loro padroni, perché testimoni di qualche scappatella sotto il felze), troppo vi sarebbe ancora da dire, e ciò potrebbe tediare il lettore. Mi sembra però che non si possa abbandonare l’argomento senza far cenno a qualcuno dei numerosi aneddoti legati alla gondola. Sotto il felze sembra sia successo di tutto: assassinii, fatti truci, ma soprattutto schermaglie amorose; il felze fu sicuramente schermo discreto alle imprese di Giacomo Casanova, per non parlare delle avventure delle “cortigiane”. Ma forse il più garbato fatterello fu quello che diede origine alla notissima barcarola “La biondina in gondoleta”. Narrano le cronache che la nobildonna Marina Quercini, giovane, avvenente ed anche piuttosto... birichina, una sera si recò in gondola con un poeta dialettale di buon nome. Ma cullata dal dondolio dell’imbarcazione, alla biondina accadde di addormentarsi (il che pone qualche dubbio sulla validità dell’ accompagnatore), mentre una maliziosa brezzolina le scompigliava le vesti, lasciando intravedere qualcosa che indusse il giovanotto a qualche gesto... ardito, non meglio reso noto. Fatto sta che nei giorni successivi il poeta fece trapelare in città una sua composizione (appunto “La biondina in gondoleta”) successivamente da altri musicata, che narrando i fatti come sopra esposti concludeva, piuttosto enigmaticamente, affermando che lo scrivente non aveva avuto di che pentirsi per le sue gesta forse non troppo castigate. La barcarola fece andare su tutte le furie la giovane nobildonna, che replicò con alcuni versi (forse non suoi e certo meno aggraziati di quelli accusatori) in cui sosteneva che nulla era successo, che essa era scesa dalla gondola lasciando l’accompagnatore a becco asciutto, non prima di avergli lasciato andare una sberla solenne. La storia non dice chi avesse detto la verità: certo, se la cosa si era conclusa a ceffoni, qualcosa sarà pure successo su quella gondola! Sulla gondola di sovente il gondoliere cantava, e nel sei-settecento ovviamente non si udiva, come oggi avviene, “O sole mio”: tema preferito erano semmai le ottave della “Gerusalemme Liberata” (il costo della corsa passava da 3 a 7 lire), ed in particolare quelle riferentisi all’episodio di Erminia, figlia di un re saraceno, che è, tra le figure femminili del poema, la più dolce e sognante, con la sua vana ricerca di interessare Tancredi, che invece le preferisce la rude guerriera musulmana Clorinda. Ed a proposito di voci cantanti, la Maria Malibran pare fosse molto contrariata dal lugubre colore della gondola e dalla sua sobrietà imposti dalle leggi suntuarie, per cui si fece allestire un’ imbarcazione di colore chiaro e riccamente impreziosita all’esterno ed all’interno, condotta da un gondoliere addobbato con vesti multicolori. Ciò suscitò clamori e proteste, ed urla di scherno venivano proferite al suo passaggio: ma ormai i “Provveditori sopra le pompe” non esistevano più. Interessante era in Venezia il sistema dei traghetti, che non si limitava a servire le sponde prospicienti del Canal Grande (si ricorda che sino al secolo XIX esisteva sulla via d’acqua il solo ponte di Rialto), ma collegava con burchi la città lagunare anche con la terraferma, con Padova e addirittura Ferrara. Per quest’ultima località la “Barca corriera” impiegava tre giorni in un viaggio in cui si mangiava male, si dormiva peggio in luride cabine, tra la più varia umanità, il bestiame, mercanzie e carichi non sempre olezzanti. Servizio più raffinato era offerto dai “burchielli”, ed in particolare dal “Burchiello” per eccellenza, che percorreva il fiume Brenta sino a Padova con un servizio giornaliero. Il battello era riccamente decorato all’esterno ed all’interno, dotato di comodità, serviva prevalentemente la gente “bene” ed i nobili. Da Venezia a Padova impiegava 16 ore (comprese le soste), con l’uso di remi o trainato da cavalli, ed “ogni venti minuti avanzava un miglio” come testimonia il Goldoni, il quale precisa anche che prima di imbarcarsi i passeggeri raccomandavano l’anima a Dio, sebbene si navigasse “senza periglio”. Con le gondole si servivano anche i casoni da caccia e pesca in laguna, dove la vita si svolgeva in allegria, tra piacevoli brigate, cui le dame venivano invogliate a partecipare poiché la sera “imparerè a far d’i zioghi…”. E, per analogo proposito, le gondole erano anche spesso il regno delle “cortigiane”. Queste non erano però le comuni “professioniste”, di cui v’era abbondanza in Venezia, dotate anche di un certo potere, tanto che una volta si recarono in delegazione dal Doge per protestare contro l’eccessiva pratica della sodomia, che toglieva loro il lavoro! In effetti, l’omosessualità era molto diffusa in città, anche perché i giovani erano indotti a ciò nei lunghi viaggi a bordo, che li tenevano lontani dalla terraferma per mesi ed anche per anni. La “cortigiana”. Più vicina alla “etera” dell’antica Grecia, era invece spesso una donna colta, magari educata alla musica ed al canto, frequentata dalle alte cariche dello Stato e da artisti e letterati, capace anche di declamare in rima durante le passeggiate sentimentali nelle notti veneziane. La gondola la fa spesso da protagonista in tutte le vicende della storia della repubblica di Venezia, dalla difesa contro gli assalitori turchi, agli anni radiosi del dominio veneziano dei mari, allo sconsiderato periodo settecentesco, alla triste conclusione della Serenissima sotto i predaci artigli di Napoleone, alle manifestazioni patriottiche sotto la dominazione austriaca, sino alla malinconica fine della Repubblica di Manin nel 1849:
“Ehi della gondola, qual novità?
Il morbo infuria, il pan ci manca
sul ponte sventola bandiera bianca!”
Poi le vicende più recenti, ed oggi la gondola ed i gondolieri a difendere ancora battaglierescamente la loro sopravvivenza in barba al progresso, un po’ distratti dalle rendite turistiche ed un po’ impegnati nella difesa contro i danni arrecati dal moto ondoso dei natanti a motore.
E’ stato detto che la gondola non è un complemento di Venezia : la gondola “è” Venezia. Di essa non si conosce però né quando né come è nata, e non è sicuro neppure quale sia l’etimologia del suo nome. A quest’ultimo riguardo, le ipotesi spaziano dal greco “kondu”, che significa coppa o tazza, al napoletano “vongola” quale variante del latino “conchula”, piccola conchiglia (è il Sansovino il proponente di una tale, poco probabile, derivazione). L’ipotesi più accreditata sembra sia una successiva corruzione di pronuncia dal latino “cymbula” o barchetta. A riguardo della sua data di nascita, la prima citazione scritta del vocabolo “gundulam” risale circa all’anno 1000, in un decreto del Doge dell’epoca per dispensare gli abitanti di Loreo dal fornirgliene una, a meno che non lo facessero... volontariamente. Ma l’imbarcazione di cui si trattava era ben diversa dalla gondola quale si verrà configurando successivamente: era, più verosimilmente, una barca a fondo piatto, tozza e panciuta, quale veniva impiegata all’epoca e non solo in laguna. Solo nel tardo quattrocento si trovano alcune incisioni in legno di xilografi tedeschi che riproducono barchette sottili, curve, a fondo piatto, con una piccola tenda al centro ed ornamenti metallici alle estremità che richiamano la forma delle gondole quali noi oggi le conosciamo. Non siamo però ancora alla vera e propria gondola, della quale si avrà una fedele riproduzione soltanto nella famosissima pianta di Venezia dovuta ad Jacopo de Barbari, datata 1500. Si può quindi ritenere che soltanto verso la fine del XV secolo la gondola abbia assunto la fisionomia che poi rimarrà sostanzialmente immutata nei secoli. Ma perché la gondola è fatta così, unica imbarcazione che sembra concepita dissimmetricamente? Non si è neppure sicuri che la sua caratteristica di pencolare sul lato destro sia dovuta all’effettivo volere dei primi costruttori, poiché qualcuno la attribuisce ad una imperfezione dovuta alle rudimentali tecniche costruttive dell’epoca. Perché di primitivi disegni della gondola non risulta traccia nelle carte conservate negli archivi, ove seppure sia possibile reperire schizzi di barche veneziane risalenti al XVI secolo, nessuno di essi si riferisce alla struttura della gondola. Sta di fatto che questo supposto errore di costruzione si è dimostrato una preziosa soluzione ai problemi sia di dare un assetto trasversalmente diritto all’imbarcazione che, se vogata da una sola persona, tenderebbe ad inclinarsi verso sinistra per la posizione che assume il gondoliere, sia di correggere la tendenza ad accostare sulla sinistra nella sua rotta, per effetto della eccentrica spinta del remo sul lato destro E sempre per rimanere sui tentativi di dare spiegazioni etimologiche ai nominativi assegnati a particolari della gondola, sappiamo che, anche se oggi molto in disuso, l’imbarcazione veneziana era un tempo corredata di una piccola cabina al centro, chiamata “felze”. Ebbene, anche di questo termine non si conosce la genesi, e per tentare di sciogliere l’enigma qualcuno ha ventilato l’idea che esso derivi dal fatto che talora la copertura dei primitivi abitacoli (popolarmente “caponere”) era realizzata con felci. Su quanto avvenisse sotto il felze si sono ricamati aneddoti di ogni genere. Ma alla maggior parte dei visitatori stranieri di alta rinomanza che hanno lasciato scritti su Venezia (De Musset, Gorge Sand, Byron, Shelley, Dickens, Twain, per citarne solo alcuni) quella cabina nera sulla gondola nera richiamava l’immagine dovuta a Goethe, di una...bara. E già che siamo in tema: perché le gondole sono tutte dipinte di nero? Nel XVI secolo esse erano dipinte coi colori più splendidi e diversi ed adorne di rifiniture preziose, per le quali le famiglie nobili veneziane facevano a gara nel superarsi in fasto ed originalità. E con esse erano… adornati fantasmagoricamente anche i gondolieri che stavano in “pope” delle gondole di “casada” (così erano denominate le imbarcazioni di proprietà delle famiglie, contro le gondole di “parada” che erano quelle dedicate al servizio pubblico, in particolare di traghetto). Ad un certo punto i reggitori della Serenissima debbono aver pensato che il troppo stroppia, e traverso leggi suntuarie, emanate su iniziativa dei “Provveditori sopra le pompe” posero un freno alle manifestazioni di sfarzo della nobiltà veneziana e, in particolare, imposero che le gondole fossero tutte dipinte di nero (che non era però il colore del lutto: tale era, per Venezia, il rosso). Non è che i veneziani siano stati subito molto ossequienti a queste disposizioni, che per lungo tempo vennero in parte disattese, a costo di multe salate; a dare l’ultima spinta alla colorazione nera delle gondole sembra sia sopravvenuta (ma il fatto non risulta da alcuno scritto) la promessa di dipingere in tal guisa le barche se da chi ne aveva i poteri veniva fatta cessare l’ennesima peste in città. Ed hanno un significato i ferri che vediamo a prora e poppa delle gondole? Probabilmente essi sono nati solo per fini estetici, e magari per creare una sorta di contrappeso al gondoliere sistemato a poppa, ma la tradizione popolare vuol far credere che il ferro di prora (quello di poppa è ormai ridotto ad un semplice ricciolo) abbia nella sua curvatura la riproduzione del berretto dogale, nei sei denti che si protendono in avanti (ma qualche volta sono anche di meno) la raffigurazione dei sestieri (i rioni) veneziani, mentre nel dente verso l’addietro sarebbe rappresentata l’isola della Giudecca. Come si conducono e governano le gondole? Più spesso mediante un unico, lungo, remo (per curiosità, nel ‘500 esso costava circa una lira) appoggiato sulla “forcola”, che di per se stessa ha quasi la forma d’un’opera d’arte moderna. E sembra quasi impossibile che con questo armamentario così rudimentale, possa esser condotta per i tortuosi canali e sotto i ponti veneziani, un’imbarcazione lunga più di 11 metri e larga almeno 1.40. Eppure l’eccezionale abilità dei gondolieri vi riesce, solo aiutata, quando occorra, da qualche potente “ohé” gridato in curva per mettere sull’avviso chi sopravvenisse dal senso opposto. Ma della e sulla gondola, nonché sui gondolieri, che sono stati per secoli i veri rappresentanti della Serenissima Repubblica (e trattati con riguardo dai loro padroni, perché testimoni di qualche scappatella sotto il felze), troppo vi sarebbe ancora da dire, e ciò potrebbe tediare il lettore. Mi sembra però che non si possa abbandonare l’argomento senza far cenno a qualcuno dei numerosi aneddoti legati alla gondola. Sotto il felze sembra sia successo di tutto: assassinii, fatti truci, ma soprattutto schermaglie amorose; il felze fu sicuramente schermo discreto alle imprese di Giacomo Casanova, per non parlare delle avventure delle “cortigiane”. Ma forse il più garbato fatterello fu quello che diede origine alla notissima barcarola “La biondina in gondoleta”. Narrano le cronache che la nobildonna Marina Quercini, giovane, avvenente ed anche piuttosto... birichina, una sera si recò in gondola con un poeta dialettale di buon nome. Ma cullata dal dondolio dell’imbarcazione, alla biondina accadde di addormentarsi (il che pone qualche dubbio sulla validità dell’ accompagnatore), mentre una maliziosa brezzolina le scompigliava le vesti, lasciando intravedere qualcosa che indusse il giovanotto a qualche gesto... ardito, non meglio reso noto. Fatto sta che nei giorni successivi il poeta fece trapelare in città una sua composizione (appunto “La biondina in gondoleta”) successivamente da altri musicata, che narrando i fatti come sopra esposti concludeva, piuttosto enigmaticamente, affermando che lo scrivente non aveva avuto di che pentirsi per le sue gesta forse non troppo castigate. La barcarola fece andare su tutte le furie la giovane nobildonna, che replicò con alcuni versi (forse non suoi e certo meno aggraziati di quelli accusatori) in cui sosteneva che nulla era successo, che essa era scesa dalla gondola lasciando l’accompagnatore a becco asciutto, non prima di avergli lasciato andare una sberla solenne. La storia non dice chi avesse detto la verità: certo, se la cosa si era conclusa a ceffoni, qualcosa sarà pure successo su quella gondola! Sulla gondola di sovente il gondoliere cantava, e nel sei-settecento ovviamente non si udiva, come oggi avviene, “O sole mio”: tema preferito erano semmai le ottave della “Gerusalemme Liberata” (il costo della corsa passava da 3 a 7 lire), ed in particolare quelle riferentisi all’episodio di Erminia, figlia di un re saraceno, che è, tra le figure femminili del poema, la più dolce e sognante, con la sua vana ricerca di interessare Tancredi, che invece le preferisce la rude guerriera musulmana Clorinda. Ed a proposito di voci cantanti, la Maria Malibran pare fosse molto contrariata dal lugubre colore della gondola e dalla sua sobrietà imposti dalle leggi suntuarie, per cui si fece allestire un’ imbarcazione di colore chiaro e riccamente impreziosita all’esterno ed all’interno, condotta da un gondoliere addobbato con vesti multicolori. Ciò suscitò clamori e proteste, ed urla di scherno venivano proferite al suo passaggio: ma ormai i “Provveditori sopra le pompe” non esistevano più. Interessante era in Venezia il sistema dei traghetti, che non si limitava a servire le sponde prospicienti del Canal Grande (si ricorda che sino al secolo XIX esisteva sulla via d’acqua il solo ponte di Rialto), ma collegava con burchi la città lagunare anche con la terraferma, con Padova e addirittura Ferrara. Per quest’ultima località la “Barca corriera” impiegava tre giorni in un viaggio in cui si mangiava male, si dormiva peggio in luride cabine, tra la più varia umanità, il bestiame, mercanzie e carichi non sempre olezzanti. Servizio più raffinato era offerto dai “burchielli”, ed in particolare dal “Burchiello” per eccellenza, che percorreva il fiume Brenta sino a Padova con un servizio giornaliero. Il battello era riccamente decorato all’esterno ed all’interno, dotato di comodità, serviva prevalentemente la gente “bene” ed i nobili. Da Venezia a Padova impiegava 16 ore (comprese le soste), con l’uso di remi o trainato da cavalli, ed “ogni venti minuti avanzava un miglio” come testimonia il Goldoni, il quale precisa anche che prima di imbarcarsi i passeggeri raccomandavano l’anima a Dio, sebbene si navigasse “senza periglio”. Con le gondole si servivano anche i casoni da caccia e pesca in laguna, dove la vita si svolgeva in allegria, tra piacevoli brigate, cui le dame venivano invogliate a partecipare poiché la sera “imparerè a far d’i zioghi…”. E, per analogo proposito, le gondole erano anche spesso il regno delle “cortigiane”. Queste non erano però le comuni “professioniste”, di cui v’era abbondanza in Venezia, dotate anche di un certo potere, tanto che una volta si recarono in delegazione dal Doge per protestare contro l’eccessiva pratica della sodomia, che toglieva loro il lavoro! In effetti, l’omosessualità era molto diffusa in città, anche perché i giovani erano indotti a ciò nei lunghi viaggi a bordo, che li tenevano lontani dalla terraferma per mesi ed anche per anni. La “cortigiana”. Più vicina alla “etera” dell’antica Grecia, era invece spesso una donna colta, magari educata alla musica ed al canto, frequentata dalle alte cariche dello Stato e da artisti e letterati, capace anche di declamare in rima durante le passeggiate sentimentali nelle notti veneziane. La gondola la fa spesso da protagonista in tutte le vicende della storia della repubblica di Venezia, dalla difesa contro gli assalitori turchi, agli anni radiosi del dominio veneziano dei mari, allo sconsiderato periodo settecentesco, alla triste conclusione della Serenissima sotto i predaci artigli di Napoleone, alle manifestazioni patriottiche sotto la dominazione austriaca, sino alla malinconica fine della Repubblica di Manin nel 1849:
“Ehi della gondola, qual novità?
Il morbo infuria, il pan ci manca
sul ponte sventola bandiera bianca!”
Poi le vicende più recenti, ed oggi la gondola ed i gondolieri a difendere ancora battaglierescamente la loro sopravvivenza in barba al progresso, un po’ distratti dalle rendite turistiche ed un po’ impegnati nella difesa contro i danni arrecati dal moto ondoso dei natanti a motore.
Ing. Mazzino Bogi
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