sabato 31 ottobre 2009

Erri De Luca - Valore

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.

Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.

Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si e' risparmiato, due vecchi che si amano.

Considero valore quello che domani non varrà Più niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.

Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che.

Considero valore sapere in una stanza dov'è il nord, qual'é il nome del vento che sta asciugando il bucato.

Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.

Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.

Paper Model - Gondola step #3

Come annunciato, ecco il prototipo della Gondola veneziana verniciato e con qualche altro dettaglio aggiunto, come i bordi metallici dello scafo, i caratteristici "ferri" di poppa e prora e le tappezzerie di panno rosso. Per dipingere il modello ho utilizzato i colori acrilici, con la prospettiva futura di dare anche una mano di vernice trasparente una volta terminato il montaggio. Ho anche dato una forma definitiva al remo e alla "forcola" nella quale va innestato. La gondola alla fine della costruzione è risultata lunga 37 cm e quindi la scala di riproduzione è circa 1:30. Dopo questo prototipo così ben riuscito mi sa tanto che mi cimenterò nella costruzione di un modello definitivo, magari ingrandendone un po' le dimensioni in modo da poter aggiungere altri eventuali particolari. Infine, mi piace ricordare che per realizzare questo modellino sono serviti un solo foglio A3 di cartoncino bianco e qualche tubetto di colore (due per la precisione: nero e rosso).







mercoledì 28 ottobre 2009

Paper Model - Gondola step #2

Prosegue la progettazione del paper model di gondola veneziana che sto portando avanti. Sono riuscito a completare un primo montaggio preliminare "in bianco" (come si può vedere dal colore del cartoncino utilizzato...), nel senso che non ho ancora provato a realizzare i pezzi sui fogli di colore nero e rosso. Come si può vedere dalle foto che posto ci sono ancora delle imprecisioni e mancano ancora i seggiolini mobili interni. Conto di provare a verniciare con la tempera nera lo scafo del prototipo per avere un'idea quasi definitiva di come verrà il modello alla fine. Come remo ho utilizzato al momento uno stecchino da spiedini perché non ne ho ancora disegnato uno in modo definitivo e soddisfacente. Alla prossima.





martedì 27 ottobre 2009

La Gondola veneziana

Visto che mi sto documentando per realizzare un modellino cartaceo di gondola veneziana, voglio riportare una bellissima descrizione di questa imbarcazione che ne ripercorre la storia dalle origini ai giorni nostri, con l'aggiunta di qualche notizia curiosa. Buona lettura.

E’ stato detto che la gondola non è un complemento di Venezia : la gondola “è” Venezia. Di essa non si conosce però né quando né come è nata, e non è sicuro neppure quale sia l’etimologia del suo nome. A quest’ultimo riguardo, le ipotesi spaziano dal greco “kondu”, che significa coppa o tazza, al napoletano “vongola” quale variante del latino “conchula”, piccola conchiglia (è il Sansovino il proponente di una tale, poco probabile, derivazione). L’ipotesi più accreditata sembra sia una successiva corruzione di pronuncia dal latino “cymbula” o barchetta. A riguardo della sua data di nascita, la prima citazione scritta del vocabolo “gundulam” risale circa all’anno 1000, in un decreto del Doge dell’epoca per dispensare gli abitanti di Loreo dal fornirgliene una, a meno che non lo facessero... volontariamente. Ma l’imbarcazione di cui si trattava era ben diversa dalla gondola quale si verrà configurando successivamente: era, più verosimilmente, una barca a fondo piatto, tozza e panciuta, quale veniva impiegata all’epoca e non solo in laguna. Solo nel tardo quattrocento si trovano alcune incisioni in legno di xilografi tedeschi che riproducono barchette sottili, curve, a fondo piatto, con una piccola tenda al centro ed ornamenti metallici alle estremità che richiamano la forma delle gondole quali noi oggi le conosciamo. Non siamo però ancora alla vera e propria gondola, della quale si avrà una fedele riproduzione soltanto nella famosissima pianta di Venezia dovuta ad Jacopo de Barbari, datata 1500. Si può quindi ritenere che soltanto verso la fine del XV secolo la gondola abbia assunto la fisionomia che poi rimarrà sostanzialmente immutata nei secoli. Ma perché la gondola è fatta così, unica imbarcazione che sembra concepita dissimmetricamente? Non si è neppure sicuri che la sua caratteristica di pencolare sul lato destro sia dovuta all’effettivo volere dei primi costruttori, poiché qualcuno la attribuisce ad una imperfezione dovuta alle rudimentali tecniche costruttive dell’epoca. Perché di primitivi disegni della gondola non risulta traccia nelle carte conservate negli archivi, ove seppure sia possibile reperire schizzi di barche veneziane risalenti al XVI secolo, nessuno di essi si riferisce alla struttura della gondola. Sta di fatto che questo supposto errore di costruzione si è dimostrato una preziosa soluzione ai problemi sia di dare un assetto trasversalmente diritto all’imbarcazione che, se vogata da una sola persona, tenderebbe ad inclinarsi verso sinistra per la posizione che assume il gondoliere, sia di correggere la tendenza ad accostare sulla sinistra nella sua rotta, per effetto della eccentrica spinta del remo sul lato destro E sempre per rimanere sui tentativi di dare spiegazioni etimologiche ai nominativi assegnati a particolari della gondola, sappiamo che, anche se oggi molto in disuso, l’imbarcazione veneziana era un tempo corredata di una piccola cabina al centro, chiamata “felze”. Ebbene, anche di questo termine non si conosce la genesi, e per tentare di sciogliere l’enigma qualcuno ha ventilato l’idea che esso derivi dal fatto che talora la copertura dei primitivi abitacoli (popolarmente “caponere”) era realizzata con felci. Su quanto avvenisse sotto il felze si sono ricamati aneddoti di ogni genere. Ma alla maggior parte dei visitatori stranieri di alta rinomanza che hanno lasciato scritti su Venezia (De Musset, Gorge Sand, Byron, Shelley, Dickens, Twain, per citarne solo alcuni) quella cabina nera sulla gondola nera richiamava l’immagine dovuta a Goethe, di una...bara. E già che siamo in tema: perché le gondole sono tutte dipinte di nero? Nel XVI secolo esse erano dipinte coi colori più splendidi e diversi ed adorne di rifiniture preziose, per le quali le famiglie nobili veneziane facevano a gara nel superarsi in fasto ed originalità. E con esse erano… adornati fantasmagoricamente anche i gondolieri che stavano in “pope” delle gondole di “casada” (così erano denominate le imbarcazioni di proprietà delle famiglie, contro le gondole di “parada” che erano quelle dedicate al servizio pubblico, in particolare di traghetto). Ad un certo punto i reggitori della Serenissima debbono aver pensato che il troppo stroppia, e traverso leggi suntuarie, emanate su iniziativa dei “Provveditori sopra le pompe” posero un freno alle manifestazioni di sfarzo della nobiltà veneziana e, in particolare, imposero che le gondole fossero tutte dipinte di nero (che non era però il colore del lutto: tale era, per Venezia, il rosso). Non è che i veneziani siano stati subito molto ossequienti a queste disposizioni, che per lungo tempo vennero in parte disattese, a costo di multe salate; a dare l’ultima spinta alla colorazione nera delle gondole sembra sia sopravvenuta (ma il fatto non risulta da alcuno scritto) la promessa di dipingere in tal guisa le barche se da chi ne aveva i poteri veniva fatta cessare l’ennesima peste in città. Ed hanno un significato i ferri che vediamo a prora e poppa delle gondole? Probabilmente essi sono nati solo per fini estetici, e magari per creare una sorta di contrappeso al gondoliere sistemato a poppa, ma la tradizione popolare vuol far credere che il ferro di prora (quello di poppa è ormai ridotto ad un semplice ricciolo) abbia nella sua curvatura la riproduzione del berretto dogale, nei sei denti che si protendono in avanti (ma qualche volta sono anche di meno) la raffigurazione dei sestieri (i rioni) veneziani, mentre nel dente verso l’addietro sarebbe rappresentata l’isola della Giudecca. Come si conducono e governano le gondole? Più spesso mediante un unico, lungo, remo (per curiosità, nel ‘500 esso costava circa una lira) appoggiato sulla “forcola”, che di per se stessa ha quasi la forma d’un’opera d’arte moderna. E sembra quasi impossibile che con questo armamentario così rudimentale, possa esser condotta per i tortuosi canali e sotto i ponti veneziani, un’imbarcazione lunga più di 11 metri e larga almeno 1.40. Eppure l’eccezionale abilità dei gondolieri vi riesce, solo aiutata, quando occorra, da qualche potente “ohé” gridato in curva per mettere sull’avviso chi sopravvenisse dal senso opposto. Ma della e sulla gondola, nonché sui gondolieri, che sono stati per secoli i veri rappresentanti della Serenissima Repubblica (e trattati con riguardo dai loro padroni, perché testimoni di qualche scappatella sotto il felze), troppo vi sarebbe ancora da dire, e ciò potrebbe tediare il lettore. Mi sembra però che non si possa abbandonare l’argomento senza far cenno a qualcuno dei numerosi aneddoti legati alla gondola. Sotto il felze sembra sia successo di tutto: assassinii, fatti truci, ma soprattutto schermaglie amorose; il felze fu sicuramente schermo discreto alle imprese di Giacomo Casanova, per non parlare delle avventure delle “cortigiane”. Ma forse il più garbato fatterello fu quello che diede origine alla notissima barcarola “La biondina in gondoleta”. Narrano le cronache che la nobildonna Marina Quercini, giovane, avvenente ed anche piuttosto... birichina, una sera si recò in gondola con un poeta dialettale di buon nome. Ma cullata dal dondolio dell’imbarcazione, alla biondina accadde di addormentarsi (il che pone qualche dubbio sulla validità dell’ accompagnatore), mentre una maliziosa brezzolina le scompigliava le vesti, lasciando intravedere qualcosa che indusse il giovanotto a qualche gesto... ardito, non meglio reso noto. Fatto sta che nei giorni successivi il poeta fece trapelare in città una sua composizione (appunto “La biondina in gondoleta”) successivamente da altri musicata, che narrando i fatti come sopra esposti concludeva, piuttosto enigmaticamente, affermando che lo scrivente non aveva avuto di che pentirsi per le sue gesta forse non troppo castigate. La barcarola fece andare su tutte le furie la giovane nobildonna, che replicò con alcuni versi (forse non suoi e certo meno aggraziati di quelli accusatori) in cui sosteneva che nulla era successo, che essa era scesa dalla gondola lasciando l’accompagnatore a becco asciutto, non prima di avergli lasciato andare una sberla solenne. La storia non dice chi avesse detto la verità: certo, se la cosa si era conclusa a ceffoni, qualcosa sarà pure successo su quella gondola! Sulla gondola di sovente il gondoliere cantava, e nel sei-settecento ovviamente non si udiva, come oggi avviene, “O sole mio”: tema preferito erano semmai le ottave della “Gerusalemme Liberata” (il costo della corsa passava da 3 a 7 lire), ed in particolare quelle riferentisi all’episodio di Erminia, figlia di un re saraceno, che è, tra le figure femminili del poema, la più dolce e sognante, con la sua vana ricerca di interessare Tancredi, che invece le preferisce la rude guerriera musulmana Clorinda. Ed a proposito di voci cantanti, la Maria Malibran pare fosse molto contrariata dal lugubre colore della gondola e dalla sua sobrietà imposti dalle leggi suntuarie, per cui si fece allestire un’ imbarcazione di colore chiaro e riccamente impreziosita all’esterno ed all’interno, condotta da un gondoliere addobbato con vesti multicolori. Ciò suscitò clamori e proteste, ed urla di scherno venivano proferite al suo passaggio: ma ormai i “Provveditori sopra le pompe” non esistevano più. Interessante era in Venezia il sistema dei traghetti, che non si limitava a servire le sponde prospicienti del Canal Grande (si ricorda che sino al secolo XIX esisteva sulla via d’acqua il solo ponte di Rialto), ma collegava con burchi la città lagunare anche con la terraferma, con Padova e addirittura Ferrara. Per quest’ultima località la “Barca corriera” impiegava tre giorni in un viaggio in cui si mangiava male, si dormiva peggio in luride cabine, tra la più varia umanità, il bestiame, mercanzie e carichi non sempre olezzanti. Servizio più raffinato era offerto dai “burchielli”, ed in particolare dal “Burchiello” per eccellenza, che percorreva il fiume Brenta sino a Padova con un servizio giornaliero. Il battello era riccamente decorato all’esterno ed all’interno, dotato di comodità, serviva prevalentemente la gente “bene” ed i nobili. Da Venezia a Padova impiegava 16 ore (comprese le soste), con l’uso di remi o trainato da cavalli, ed “ogni venti minuti avanzava un miglio” come testimonia il Goldoni, il quale precisa anche che prima di imbarcarsi i passeggeri raccomandavano l’anima a Dio, sebbene si navigasse “senza periglio”. Con le gondole si servivano anche i casoni da caccia e pesca in laguna, dove la vita si svolgeva in allegria, tra piacevoli brigate, cui le dame venivano invogliate a partecipare poiché la sera “imparerè a far d’i zioghi…”. E, per analogo proposito, le gondole erano anche spesso il regno delle “cortigiane”. Queste non erano però le comuni “professioniste”, di cui v’era abbondanza in Venezia, dotate anche di un certo potere, tanto che una volta si recarono in delegazione dal Doge per protestare contro l’eccessiva pratica della sodomia, che toglieva loro il lavoro! In effetti, l’omosessualità era molto diffusa in città, anche perché i giovani erano indotti a ciò nei lunghi viaggi a bordo, che li tenevano lontani dalla terraferma per mesi ed anche per anni. La “cortigiana”. Più vicina alla “etera” dell’antica Grecia, era invece spesso una donna colta, magari educata alla musica ed al canto, frequentata dalle alte cariche dello Stato e da artisti e letterati, capace anche di declamare in rima durante le passeggiate sentimentali nelle notti veneziane. La gondola la fa spesso da protagonista in tutte le vicende della storia della repubblica di Venezia, dalla difesa contro gli assalitori turchi, agli anni radiosi del dominio veneziano dei mari, allo sconsiderato periodo settecentesco, alla triste conclusione della Serenissima sotto i predaci artigli di Napoleone, alle manifestazioni patriottiche sotto la dominazione austriaca, sino alla malinconica fine della Repubblica di Manin nel 1849:

“Ehi della gondola, qual novità?
Il morbo infuria, il pan ci manca

sul ponte sventola bandiera bianca!”


Poi le vicende più recenti, ed oggi la gondola ed i gondolieri a difendere ancora battaglierescamente la loro sopravvivenza in barba al progresso, un po’ distratti dalle rendite turistiche ed un po’ impegnati nella difesa contro i danni arrecati dal moto ondoso dei natanti a motore.

Ing. Mazzino Bogi

domenica 25 ottobre 2009

Paper Model - Peugeot Bebe [1905]

Pubblico il risultato del mio ultimo lavoro di carta: una bellissima Peugeot Bebe del 1905. Nel 1903 la Casa francese Peugeot lanciò sul mercato una serie di modelli denominati Bebe, che presto ha guadagnato il consenso del pubblico di inizio secolo ed è stata una delle macchine più popolari dell'epoca. Si trattava di una piccola automobile sportiva da 2 posti con un motore da 4HP monocilindrico con trasmissione a catena che sviluppava una velocità massima di 40km/h. Una delle principali innovazioni che presentava questo modello era la presenza dei freni a tamburo incorporati nelle quattro ruote. Il modello che ho realizzato alla fine risulta lungo circa 35cm.














Alcuni momenti della realizzazione:
















sabato 24 ottobre 2009

Progetto Gondola Veneziana Paper Model

Dopo una serie di ricerche un po' laboriose sono riuscito a recuperare dei piani di costruzione decenti di un gondola veneziana che utilizzerò come punto di partenza per realizzarne la versione cartacea.  Era parecchio tempo, infatti, che volevo costruire un paper model dell' imbarcazione più famosa della mia amata città, possibilmente tale da non richiedere molto tempo come accaduto per altre costruzioni navali. L'immagine dei piani che riporto purtroppo non è molto definita ed è il risultato di un collage di più tavole che ho recuperato da un sito spagnolo di modellisti navali. Una volta stampata su un A4 risulta comunque sufficientemente chiara per poter condurre le analisi per lo sviluppo del modello. La versione riportata nella tavola comprende anche il felze, cioè la copertura per proteggere i passeggeri che andava molto di moda nel '700. Vedremo se questi disegni mi saranno utili per allestire un modellino grazioso. Si possono ovviamente utilizzare anche per realizzazioni in legno.


venerdì 23 ottobre 2009

Contatore binario modulo arbitrario a rele'

Ecco un nuovo delirio elettro-meccanico che ha impegnato per qualche minuto la mia mente: ho realizzato un contatore binario di modulo arbitrario interamente con relè a 4 scambi. Per implementare tale struttura ho riutilizzato il circuitino del relè bistabile riportato alcuni giorni fa, aggiungendo una semplicissima rete logica per pilotare due lampadine secondo la classica sequenza di conteggio 00, 01, 10, 11 ottenendo così un contatore a 2 bit (modulo 4). La lampadina A rappresenta il bit più significativo mentre la lampadina B quello meno significativo. Si può inoltre intendere questo circuito come un Flip-Flop T (Toggle), cioè un oggetto in grado di commutare lo stato della sua uscita (lampada A) ad ogni rilascio del pulsante di clock.  Il circuito prevede due uscite per trasmettere il clock ad un altro stadio identico, in modo da poter realizzare una connessione in cascata, consentendo di ottenere contatori di modulo arbitrario. In questo caso ogni stadio del contatore è costituito da un FF-T la cui uscita utile è la lampada A e lo stato di questo segnale verrà utilizzato per far commutare lo stadio successivo, mentre la lampada B può anche non essere presa in considerazione. Ad esempio collegando in cascata 2 stadi (CK_OUT di uno stadio collegato con CK_IN del successivo) otterremo un contatore a 2 bit attivo sui rilasci del pulsante di clock (fronti di discesa) di modulo 4, se ne colleghiamo 3 avremo un contatore di modulo 8 e via dicendo. Se al clock del primo stadio viene collegato lo scambio di un ulteriore relè e si pilota la bobina di quest' ultimo con un segnale proveniente da un oscillatore digitale, è possibile vedere la sequenza di conteggio avanzare come avviene nella corrispettiva versione integrata.

lunedì 19 ottobre 2009

CapasoBlog: Nuovo motore di ricerca interno


Da qualche tempo ho notato che il motore di ricerca del blog contenuto nella navbar non riusciva, in molti casi, a fornire i risultati cercati rendendo molte informazioni contenute nel blog difficilmente reperibili.
Ho quindi deciso di introdurre un nuovo motore di ricerca interno al blog in modo da poter effettuare delle ricerche efficienti su tutto l'intero contenuto sfruttando le capacià di Google. Spero così di aver risposto anche a quei lettori che mi hanno mosso la (giusta) critica di non rendere facilmente fruibili le informazioni raccolte in questo spazio.

David Marinotto

Con la mostra del maestro prof. David Marinotto si conclude la rassegna di esposizioni promossa dall’associazione I.R.I.S., dedicata alla scuola di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, con la quale abbiamo già avuto modo di ammirare le opere di maestri come A. Viani e G.F. Tramontin. E’ naturale perciò individuare nell’opera di Marinotto delle affinità culturali e ideali condivise con i maestri che lo hanno preceduto. Infatti si possono cogliere alcuni spunti comuni a questi tre maestri, come l’importanza del disegno, la conoscenza delle varie esecuzioni tecniche e dei materiali, lo studio della storia dell’arte, gli scambi culturali e l’analisi dei rapporti forma-luce-spazio. Queste analogie ci permettono, quasi per paradosso, di evidenziare da un lato le peculiarità artistiche di Marinotto che lo distinguono dai colleghi e dall’altro i suoi contributi personali a tale scuola di scultura. Utilizzando una sorta di elenco didascalico, cercheremo di sottolineare alcune sue caratteristiche sostanziali. La prima si riconosce dal modo in cui egli coglie l’ispirazione per la realizzazione del soggetto: questo per Marinotto deriva non dalla natura o dalla storia dell’arte, ma dalla sua immaginazione; tutto dunque nasce dalla fervida fantasia dello scultore, la quale si concretizza in una forma che ha lo scopo di generare un dialogo sensibile tra scultore, opera e fruitore. Quest’ultimo, libero da orpelli, ha perciò la possibilità di interpretare liberamente e personalmente i messaggi di tale relazione, come dimostra, in quasi tutte le opere, l’assenza del titolo. La seconda peculiarità si evidenzia nella modalità con cui viene instaurata questa interazione di idee: essa è la concretizzazione di emozioni serene e gioiose o di riflessioni intellettuali che si generano nella mente dello spettatore, veicolate dalle forme dell’opera nel momento in cui egli la sta osservando e contemplando. La terza vede l’estensione di tale influenza reciproca anche alle opere stesse. Marinotto dà vita ad una scultura nella quale anche la materia si relaziona con lo spazio che la circonda e la compenetra, tanto che è il vuoto stesso a divenire forma scultorea delimitata dal pieno. Si crea così un costrutto armonico, equilibrato e composto da due elementi, o per meglio dire, due entità, in colloquio perpetuo tra di loro, talvolta legati per mezzo di sfere d’oro che, oltre ad essere un tocco di luce, sembrano divenire metaforicamente il cuore del rapporto simbiotico. Il dialogo emotivo ed intellettuale che pervade intrinsecamente le statue e che esse riescono ad emanare a chi le osserva, è accentuato dagli effetti che la plastica assume. Essa sembra essere dolcemente modellata dalla luce, tanto da divenire vibrante, opalescente e mutevole allo stesso tempo, quasi che voglia prendere vita. Non vi sono contrappunti o rotture ma sinuosità e dolcezza, e se in alcuni casi sembra quasi di scorgere nelle forme create un sottile antropoformismo, esso è solo un capriccio della materia. Marinotto dunque ha saputo, proprio in nome di quella democraticità culturale tanto cara a Viani, non solo portare il proprio fondamentale contributo alla scuola di scultura nata nelle sedi dell’Accademia, ma anche farla vivere divulgandola al grande pubblico e traghettandola verso il futuro.

Siro Perin