Tenere un diario e riserbarne l'accesso a sé è sempre stato un progetto di Pavese. A poco meno di vent'anni, trascrive in bella copia i Frammenti della mia vita trascorsa, che qui vengono alla luce per la prima volta. Trapelano già, ossessive, le dominanti della sua maniera di trasfigurare il mondo e gli altri: l'Amore, la Morte (il suicidio), l'Arte. Il confino politico, nel 1935-36, a Brancaleone, favorosce il rivelarsi di Pavese a se stesso in un diario vero e proprio. Comincia qui, e non si arresta fino a pochi giorni dalla morte (1950), il Mestiere di vivere. Ha tuttora ragione Calvino nel definirlo così: "il diario di Pavese è insieme la ricerca d'una tecnica poetica e d'un modo di stare al mondo". Ma prima di lui Sergio Solmi si era posto una domanda che faceva appello, quasi, alla coscienza materiale e formale del Mestiere di vivere: "Giungeremo a dire che Pavese ha esercitato per lungo tempo una instancabile auto-terapia dell'anima?". L'attuale edizione del Mestiere di vivere, condotta sul manoscritto autografo, rivela anche graficamente il sorgere, piuttosto, e il maturare di uno stile dell'interiorità. Esso è frutto di una lenta conquista, ottenuta al di là degli anni 1937-38, quando, come dimostrano i segmenti di diario offerti ora non alla curiosità occasionale ma alla simpatia intellettuale del lettore, l'Amore si coniuga con la Morte, prende il sopravvento sull'Arte, e la personalità dell'artista rischia di distruggersi. A superare questa crisi concorre quasi subito, e si accresce in seguito, la preoccupazione di offrire di sé il ritratto adeguato di uno scrittore apparso, nel frattempo, "nuovo" (Lavorare stanca, raccolta non ermetica, è del 1936): uno scrittore tecnicamente incontentabile, e culturalmente inquieto.
Il mestiere di vivere. Diario (1935-1950) (Einaudi tascabili. Scrittori)