E’ del poeta il fin la meraviglia, parlo dell’eccellente e non del goffo, chi non sa far stupir, vada alla striglia.
Questo celebre verso di Giambattista Marino rende chiara l’idea di come il rimatore nel caso specifico, ma più in generale l’artista, sia quella persona che attraverso le sue doti naturali e i suoi virtuosismi è in grado di suscitare stupore e straniamento nel fruitore attraverso la creazione di qualcosa di inconsueto e che si distacca dai canoni predefiniti, dalla tradizione (talvolta stantia) e dalla provincialità (spesso inconcludente) per dar vita a qualcosa di nuovo e di universale. E’ proprio per questo dunque che l’artista, grazie all’utilizzo ed alla compenetrazione dei suoi mezzi di espressione (pittura, scultura, musica, architettura, ecc…), sente allo stesso tempo la necessità e il desiderio di creare un’opera viva, capace di meravigliare sempre e di stimolare sensi, mente ed emozioni grazie al fascino della sua eccezionalità, offrendo così all’uomo una sorta di viatico terapeutico, sociologico e culturale. Ma l’opera d’arte per creare evoluzione e cambiamento, deve contenere in se stessa la capacità di rompere con la staticità fisica e fisiologica contingente e allo stesso tempo fornire una via d’uscita verso il futuro. Essa ci riesce solo grazie a elementi ed a composizioni in grado di generare un senso di smarrimento e di confusione interiore, prima di tutto dal punti di vista visivo. L’osservatore di fronte all’opera d’arte deve perciò perdere ogni punto di riferimento intrinseco ad essa, essere pervaso quasi dalle vertigini e soffrire una crisi nella quale mette in discussione i capisaldi tangibili ed intellettivi relativi al proprio vissuto. Di conseguenza, spinto dalla necessità di trovare una visione univoca, un punto fermo, cioè una via d’uscita, egli maturerà una nuova concezione del qui e dell’adesso e compirà una evoluzione interiore. Quest’ultima è dunque provocata dallo spiazzamento derivante dalla confusione del caos, la quale diviene necessaria per l’originarsi del nuovo ordine del cosmos. Ma la catarsi scaturita da questo stordimento, così come l’evoluzione biologica e naturale è infinita, non è definitiva: le innumerevoli modalità di rapporto visivo la trasformano sia in precario stato, sia in interminabile concetto di visione-contemplazione. Questa rottura degli schemi consolidati per originarne infiniti altri, attraverso una mutazione continua e plurima della visione, si riscontra nei lavori di Franco Costalonga. L’artista, durante la sua lunga carriera, grazie al suo agire, al suo avvicinarsi all’Arte Programmata, detta anche cinetica, al suo relazionarsi con le più disparate personalità in ambito artistico e al suo spaziare in vari settori sensibili, quali il design e l’insegnamento, si è sempre mosso in tal senso. Egli mira ad una destabilizzazione intesa come via d’uscita dell’arte attraverso l’arte stessa, la quale origina un mondo simulato in cui ci si perde per ritrovarsi. A tal fine, sembra quasi un paradosso, Costalonga si avvale di alcune delle sequenzialità del metodo scientifico, della fisica, della tecnica e delle varie modalità dell’arte, come confermano alcuni suoi studi sull’ottica concernenti agli specchi sferici, il tutto racchiuso in una consistente dimensione progettuale nella quale nulla è casuale. Ed è proprio la progettualità, per l’artista, la chiave per infondere all’opera tali caratteristiche: Costalonga all’inizio catalizza l’idea con la grafica, studia attentamente le possibilità di attuazione sequenziale e di esecuzione del lavoro monitorando e talvolta scoprendo cose nuove, ricerca e adopera in modo opportuno le più disparate tecniche, tecnologie, materiali classici, come la tela, oppure contemporanei, come il plexiglas, assemblandoli fra loro, studia i colori, i loro riverberi, la gradualità, gli accostamenti e li inserisce in modo giustapposto. Tale modalità esecutiva, che gli è congeniale sia per la sua propensione personale sia per gli studi presso l’Istituto Statale d’Arte nel quale ha poi a lungo insegnato, è contemporaneamente stata perfezionata dagli studi sulla riflessione e sulla rifrazione, e dall’altra sul movimento elettrico/manuale e roto/oscillatorio, ed infine dalle analisi sulla geometria teorica/applicata e piana/tridimensionale. Da questi presupposti nascono lavori articolati, inusuali e caratterizzati da alcune peculiarità, quali la mancanza del classico piano d’appoggio, di inizio o fine, di orizzontalità o verticalità e l’assenza di un titolo soggettuale e definito. Le opere dunque diventano forme oggettuali che si possono raggruppare in base alle progettazioni, alle ricerche ed alle sperimentazioni (es. “Trasforme”, “Specchi Mobili”, “Destrutturazioni Modulari”, ecc…) compiute dall’artista in un determinato periodo di tempo. Esse sono perfettamente equilibrate e bilanciate sul piano formale sia nel loro insieme che nelle singole parti e, cosa fondamentale, impostate sul concetto di modulo. Quest’ultimo, ideato intenzionalmente, essendo inteso come archetipo, cioè modello assoluto, e allo stesso tempo come variabile costante che si ripete nel creare infinite composizioni, assume la facoltà di amplificare all’infinito il fascinoso smarrimento che il complesso del quadro, della scultura o di un’altra struttura suscita in chi guarda. Nei lavori di Costalonga emerge sempre questa costante dimensione di crisi del retroterra culturale ed interiore, dal quale ciascuno può trovare il proprio modo di uscire e compiere successivamente un atto di crescita. Per permettere tutto ciò è l’artista stesso il primo che si lascia trasportare da tale senso di meraviglia, tanto caro al Marino: attraverso una pianificazione ragionata, egli deve smarrirsi per poi ritrovarsi in nuovi orizzonti e poter così attirare e coinvolgere nello stesso percorso lo spettatore. Quest’ultimo, stabilisce dunque una sorta di dialogo nascosto con l’autore, da esso voluto e ricercato intenzionalmente. Tale relazione si sostanzia nella necessità inconscia dell’osservatore di riscontrare nell’opera una sorta di legame con la propria storia, ma non trovandolo a causa dell’impossibilità di avere una visione totalizzante e stabilizzante egli viene trascinato dentro il mondo dell’opera stessa, per dialogare con essa, viverne la crisi, l’instabilità visiva e mentale e, attraverso le infinite possibilità d’osservazione, uscirne rigenerato. Tutto questo è possibile grazie agli innumerevoli riflessi proiettati sui lavori dalla luce: essa varia a seconda dei molteplici movimenti, singoli o combinati, dell’opera o di alcune sue parti, dello spettatore e della fonte di luce stessa nonché della variazione di intensità. Nelle ultime creazioni la ricerca progettualizzata di Costalonga si incentra su un nuovo concetto di modulo che trova origine nella geometria euclidea. Si tratta di un solido a forma triangolare che ribaltandosi dà origine ad un secondo solido di tipo romboidale. Il nuovo elemento, accostandosi ad altre riproduzioni di se stesso, dà vita a solidi di forma esagonale, i quali, ripetendosi a loro volta, secondo precisi schemi prestabiliti, creano altrettante forme geometriche richiamanti triangoli o altre figure. Queste strutture, emergenti da un fondo nero neutro, sono colorate secondo elucubrazioni precise e mirate che, a seconda della variazione della luce, accentuano la mutevolezza di tali “aberrazioni” ottiche che, accattivando l’osservatore, danno nuovamente inizio a quel processo di crisi mentale di cui si è parlato in precedenza. In questo modo l’artista dimostra ancora una volta la profondità della sua ricerca nell’ambito dei concetti cinetici, e altresì in quello della geometria speculativa e nell’estetica del colore. Costalonga attraverso i suoi giochi mentali e razionali, le sue plurime ricerche in aspetti inusuali, la sua abilità nell’essere capace di rigenerarsi, ha contribuito a dar grande l’arte programmata, a mantenerla viva e a farla dialogare alla pari con altre brache internazionali dell’arte, spesse volte esageratamente sopravalutate.
Siro Perin
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