Che fossero laboriose e organizzatissime lo si sapeva, e anche che rappresentassero un indicatore ambientale straordinariamente sensibile. Le api non apprezzano ad esempio i campi Ogm, li evitano accuratamente e a quanto pare trasmettono messaggi di allarme anche alle loro compagne che non hanno ancora sorvolato coltivazioni transgeniche. Ma che fossero gravemente minacciate anche dalle onde elettromagnetiche dei nostri cellulari è una spiacevole novità, annunciata da alcuni studiosi tedeschi dell'Università di Landau: gli insetti, secondo le loro ricerche, rifiutano di rientrare negli alveari se nei paraggi vengono piazzati ripetitori o congegni elettromagnetici. Il loro sistema di «navigazione» ne verrebbe sconvolto, al punto che non riuscirebbero più a ritrovare la strada per le arnie.
Sarebbe questa - benché ancora controversa - la spiegazione della recente moria di sciami in molte parti del mondo, imputata finora alla presenza di parassiti o alla carenza di polline. I telefonini provocherebbero quello che in termini scientifici viene definito
«Colony collapse disorder», ovvero la morte degli insetti lontano da casa. Il fenomeno, registrato dallo scorso autunno negli Usa, è stato segnalato anche in Europa, dapprima in Spagna, ora anche in Germania e Inghilterra. La misteriosa malattia sta decimando le api americane, mettendo a repentaglio l’impollinazione di molte colture e provocando danni per centinaia di migliaia di dollari. Negli ultimi tempi gli apicoltori di una ventina di Stati americani hanno registrato perdite fino all’
80 per cento della popolazione di api. Un fenomeno inconsueto per diffusione e gravità.
Le api sono una risorsa economica, enorme e «a libro paga» della natura. Un alveare contiene fino a 50.000 insetti, in Europa ci sono miliardi di api e ogni volta che una esce dall’alveare impollina un centinaio di fiori, «lavoro» che produce, solo nell’Unione Europea, miliardi di euro. L'importanza dell’impollinazione è incommensurabile per l’ecosistema: senza api centinaia di piante scomparirebbero. Eppure i miracolosi insetti scompaiono dai campi a ritmo serrato. Gli apicoltori ne trovano sempre di più morte sotto gli alveari e la produzione di miele cala in tutto il mondo. Colpa della chimica in agricoltura, certamente, e anche dei cambiamenti climatici. Secondo un rapporto del World Watch Institute un terzo degli alveari di ape domestica è già scomparso e la stessa sorte tocca alle specie selvatiche. Al danno naturale si aggiunge quello economico perché il valore dell’impollinazione delle piante è stimabile intorno ai 10 miliardi di euro l’anno nel mondo.
Ulteriori dubbi, dunque, si addensano su ripetitori e cellulari: che siano dannosi lo si sospetta da tempo, e molte ricerche, anche se contrastate da studi di segno opposto, lo affermano. Un’indagine finlandese di qualche anno, per esempio, affermava che l’uso eccessivo e decennale del telefono cellulare può aumentare del
40 per cento il rischio di sviluppare un tumore al cervello. Una ricerca svedese dice invece che le onde elettromagnetiche sono in grado di distruggere le cellule cerebrali. L’allarme nei confronti dei più giovani, comunque, sia bambini che adolescenti, è diffusamente accettato.
Gli studi proseguono e una risposta definitiva la potremo avere soltanto con analisi che prendano in esame «trend» di lungo termine. Nel frattempo, comunque, sarebbe in ogni caso saggio applicare di più il «principio di precauzione».
Tornando alle api, qualunque sia la spiegazione di uno degli eventi ecologicamente più misteriosi degli ultimi anni, speriamo di non essere in procinto di vedere il finale di una specie di film dell'orrore:
«Se le api scompariranno - aveva scritto Einstein
- all'uomo resteranno solo quattro anni di vita».
Non è ancora chiaro quali siano gli effetti dei telefonini sull’uomo. Ma per quanto riguarda le api, forse si può iniziare a parlare di sterminio di massa. E’ l’ipotesi formulata dai ricercatori dell’istituto di scienze naturali dell'università di Landau, secondo i quali le radiazioni emesse dai cellulari potrebbero essere le responsabili della progressiva moria nelle colonie di api che si sta verificando ormai in tutto il mondo (e per la quale è stata coniata la definizione “Colony Collapse Disorder”).
Gli studiosi dell’università tedesca hanno sottoposto alcune arnie alle radiazioni elettromagnetiche prodotte da dispositivi di telefonia mobile. In alcuni casi, fino al settanta per cento delle api uscite alla ricerca di polline non ha fatto più ritorno. L’ipotesi è che le radiazioni interferiscano con il sistema d’orientamento degli insetti, impedendo loro di rintracciare la via dell’arnia e portandoli a disperdersi e morire altrove.
Il Colony Collapse Disorder ha colpito inizialmente gli Stati Uniti, dove ventiquattro stati sono alle prese con il problema, con una riduzione della popolazione di api che in diversi allevamenti sfiora il sessanta/settanta per cento. Successivamente ha raggiunto l’Europa continentale, con particolare intensità in Spagna, Germania, Svizzera e Polonia e tracce anche in Italia. Ora tocca alla Gran Bretagna, il paese dove in questi giorni si è parlato più diffusamente della ricerca di Landau.
Altre possibili cause del fenomeno sono state individuate negli scorsi mesi nell’utilizzo di pesticidi o nella diffusione di campi di prodotti ogm. A parte quello dell’università tedesca, non esistono altri studi che sostengano la teoria del rapporto diretto tra le radiazioni elettromagnetiche e la scomparsa delle api. Qualche scettico, inoltre, fa notare come l’apicoltura sia in gran parte diffusa in aree di campagna, dove il segnale telefonico spesso è ancora debole o addirittura inesistente.
La preoccupazione per la diffusione del Colony Collapse Disorder non tocca soltanto corde romantiche (vedi il paragone con Pasolini e la scomparsa delle lucciole), ma anche commerciali. Oltre a mandare in crisi il settore specifico dell’apicoltura, l’estinzione delle api rischia di provocare danni enormi all’intera agricoltura a causa della mancata impollinazione dei campi (un passaggio fondamentale per molte coltivazioni). I giornali inglesi hanno quantificato in un miliardo di sterline - circa un miliardo e mezzo di euro - il valore commerciale complessivo delle api per l’economia del Regno Unito.