giovedì 9 agosto 2007

Zenone di Cizio - Stoicismo


Zenone di Cizio
(333 a.C.-263 a.C.) fu un filosofo ellenistico nato a Cizio, nell'isola di Cipro, considerato il fondatore dello stoicismo. Come Talete, non era di origine greca ma fenicia. Fu allievo del filosofo cinico Cratete e, successivamente, di Polemone, scolarca dell'Accademia platonica nell'ultimo quindicennio del IV secolo. Intorno al 300 fondò la Stoa. Il suo contributo alla storia delle idee si rivela notevole soprattutto nel campo dell'etica, in cui espresse posizioni spesso condizionate dalla sua formazione cinica, e della gnoseologia (sua è la teoria stoica della rappresentazione catalettica). A Zenone è dedicato il primo volume della classica raccolta di frammenti stoici curata da Hans von Arnim (SVF 1).
La fonte più importante riguardo alla sua vita è una biografia scritta da Diogene Laerzio, nel libro VII della sua opera Raccolta delle vite e delle dottrine dei filosofi.

Stoicismo
Lo stoicismo è una corrente filosofica e spirituale fondata nel 308 a.C. ad Atene da Zenone di Cizio, con un forte orientamento etico. Tale filosofia prende il suo nome dal portico dipinto (in greco στοὰ ποικίλη, pron. stoà poikíle) dove Zenone di Cizio impartiva le sue lezioni. Gli stoici sostennero le virtù dell'autocontrollo e del distacco dalle cose terrene, portate all'estremo nell'ideale dell'atarassia, come mezzi per raggiungere l'integrità morale e intellettuale.
Nell'ideale stoico, è il dominio sulle passioni che permette allo spirito il raggiungimento della saggezza. Riuscire è un compito individuale, e parte dalla capacità del saggio di disfarsi delle idee e influenze che la società nella quale vive gli ha inculcato. Tuttavia lo stoico non disprezza la compagnia degli altri uomini, e l'aiuto ai più bisognosi è una pratica raccomandata.
Tra gli stoici più importanti troviamo numerosi filosofi e uomini di stato greci e romani. Il disprezzo per le ricchezze e la gloria mondana la resero una filosofia adottata sia da imperatori (come Marco Aurelio nei suoi Colloqui con se stesso) che da schiavi (come Epitteto). Cleante, Crisippo, Seneca e Catone furono personalità importanti della scuola stoica.

Origini
Lo stoicismo nasce ad Atene dove Zenone di Cizio impartiva le sue lezioni, nella zona del portico affrescato dell'agorà (la Stoà Pecile), da cui, come abbiamo detto, questa corrente di pensiero prende il nome. La fase originaria di tale scuola di pensiero è detta Stoicismo antico.
Più tardi, a partire dall'introduzione di questa dottrina a Roma da parte di Panezio di Rodi, ha inizio il periodo dello Stoicismo medio. Si differenzia dal precedente per il suo carattere eclettico, in quanto influenzato sia dal platonismo che dall'aristotelismo e dall'epicureismo.
Infine, abbiamo il cosiddetto Stoicismo nuovo o romano, che abbandona la tendenza eclettica cercando di tornare alle origini.

- L'Antica Stoà (III-II secolo a.C.). Cleante e Crisippo, seguendo l'insegnamento del maestro Zenone, fissano i punti della dottrina stoica;

- La Media Stoà (II-I secolo a.C.). Lo stoicismo viene contaminato dall'epicureismo, dal neoplatonismo e dal pensiero orientale.

- La Nuova Stoà (I-III secolo d.C.). E' il periodo in cui lo stoicismo diventa la filosofia più diffusa fra gli intellettuali romani: Seneca, l'Imperatore di Roma Marco Aurelio e lo schiavo Epitteto ne sono gli esempi più celebri. Lo stoicismo dell'epoca imperiale venne arricchito da contaminazioni ciniche.

Filosofia Stoica
Gli stoici dividevano la filosofia in tre discipline: la logica, che si occupa del procedimento del conoscere; la fisica che si occupa dell'oggetto del conoscere; e l'etica che si occupa della condotta conforme alla nostra natura razionale. Questa gerarchia si esprime in due esempi: La comparazione con l'uovo: la logica è rappresentata dal guscio, la fisica dall'albume e l'etica dal tuorlo e il paragone col frutteto: la logica è il recinto che delimita il terreno, la fisica l' albero e l' etica è il frutto.
La logica comprendeva la gnoseologia, la dialettica e la retorica. Sebbene sia certo che il sistema è subordinato all'etica, questa si fonda su un principio che ha origine nella fisica.
La fisica stoica, a sua volta, deriva dalla concezione eraclitea del fuoco come forza produttiva e ragione ordinatrice del mondo. Da questo fuoco artigiano (πύρ τεχνικόν) si genera il mondo il quale, in certi periodi determinati di tempo, si distrugge e torna a rinascere dal fuoco. Per questa ragione si è soliti parlare di eterno ritorno del medesimo che si produce ciclicamente sotto forma di conflitto universale o ecpirosi (εκπύρωσις). Ogni periodo che si produce dal fuoco e che culmina nella distruzione attraverso il fuoco stesso è definito diakosmesis (διακόσμησις).
Questo ordinamento è retto da una ragione (Λόγος) universale. Essa può essere intesa come un 'movimento' incausato, eterno, inarrestabile che inerisce a qualunque forma di essere, dal più semplice ed infimo fino al più grande e complesso, vivente e non vivente.
L'etica stoica si fonda sul principio che anche l'uomo è partecipe del lógos e portatore di una "scintilla" di fuoco eterno. Ciò che impedisce l'adeguamento della condotta umana alla razionalità sono le passioni. La virtù consiste nel vivere in modo ammissibile (ομολογία) con la natura delle cose, scegliendo sempre ciò che è conveniente alla nostra natura di esseri razionali. Nello stato di dominio sulle passioni o apatia (απάθεια), ciò che poteva apparire come male e dolore si rivela come un punto positivo e necessario. È da qui che Epitteto dichiara "ανέχoυ καί απέχoυ" (sopporta e astieniti): non nel senso di 'sopporta il dolore e astieniti dai piaceri' come comunemente s'intende; bensì nel senso di 'sopporta l'intolleranza (frutto di passione) altrui e astieniti dall'intemperanza (frutto di passione)'.
Questo è anche il senso della famosa metafora stoica che paragona la relazione uomo-Universo a quella di un cane legato ad un carro. Il cane ha due possibilità: seguire armoniosamente la marcia del carro o resisterle. La strada da percorrere sarà la stessa in entrambi i casi; però se ci si adegua all'andatura del carro, il tragitto sarà armonioso. Se, al contrario, si oppone resistenza, la nostra andatura sarà tortuosa, poiché saremo trascinati dal carro contro la nostra volontà. L'idea centrale di questa metafora è espressa in modo sintetico e preciso da Seneca, quando sostiene: Ducunt volentem fata, nolentem trahunt ("Il destino guida chi lo accetta, e trascina chi è riluttante").

Oikeiosis (dal greco οικεῖος) è un termine introdotto dai filosofi stoici per indicare la realizzazione, il fine ultimo degli esseri viventi.
Secondo gli stoici è la conoscenza del proprio io, tramite la synaesthesis, ovvero la percezione interna. Grazie a questa conoscenza di sé, nasce l'istinto di conservazione che consente lo sviluppo del proprio essere.
Questa conoscenza di sé è accompagnata dal senso piacevole di compiacimento ovvero l'oikeiosis. Grazie all'oikeiosis, secondo gli stoici, gli esseri viventi possono volare, nuotare, muoversi senza che nessuno l'abbia mai insegnato loro. In esso sono dunque racchiuse la forza, la salute, la bellezza, le funzionalità del corpo, cosi come anche l'amore per la propria specie e nell'uomo per la sua comunità.
Da qui per l'uomo prosegue la strada che lo condurrà alla moralità. L'animale invece, non avendo dentro di sé la natura razionale, non da valore alle cose e rimane per sempre nella sfera dell'istintualità.

Tutto è lògos
L'assunto fondamentale dello stoicismo è che tutto è sorretto dalla ragione. Per gli stoici, contrariamente a quanto sostenuto dagli epicurei, nel cosmo non vi è nulla di casuale ma tutto è sorretto da una legge razionale che essi chiamano logos, recuperando l'antico termine eracliteo. Il logos determina ogni aspetto della realtà in modo necessario, per cui ogni cosa accade nell'unico modo in cui sarebbe potuta accadere.
L'intero corso degli eventi, l'intero universo, è nel suo insieme perfetto e predeterminato, per cui ogni aspetto della realtà accade in un certo modo e non in un altro perché il logos non poteva che determinarlo in quell'unico modo.
Tutti i fenomeni e gli accadimenti del mondo, i quali non sono altro che la manifestazione della legge del logos, hanno un proprio fine, anche quelli all'apparenza dannosi o inutili, così Crisippo giustificava anche le catastrofi e i terremoti come purificazione ed espiazione dei mali del mondo. Questa conclusione rispecchia a dovere il senso che gli stoici danno al mondo: ogni cosa ha una sua ragione, ogni aspetto della realtà, anche il più terribile o il più apparentemente trascurabile, possiede un suo perché nella logica dell'intero e del tutto (questo argomento sarà poi recuperato da Leibniz per affermare che quello che viviamo è "il migliore dei mondi possibili").
Da questo atteggiamento filosofico nascerà l'attenzione dello stoicismo per la logica. Molti dei concetti di logica classica che verranno utilizzati in epoche successive derivano dal lavoro di organizzazione della disciplina sviluppato proprio dalle scuole stoiche le quali, assieme all'opera di Aristotele, verranno a formare il "corpo logico" proprio dell'antichità (gli stoici si dedicheranno ad approfondire gli aspetti della logica dialettica). Da ricordare per l'importanza la distinzione operata dagli stoici tra segno, significante e significato, un'importante anticipazione delle teorie semiotiche moderne.

Il fato
Se ogni cosa nell'universo accade secondo la legge del logos, ogni aspetto della realtà non può che accadere nel solo modo in cui accade. L'argomento è una critica al concetto di libero arbitrio sostenuto invece dagli epicurei, per gli stoici l'agire umano non può che essere vincolato da una legge di necessità.
La legge "divina" che regola il funzionamento di ogni aspetto della realtà è chiamata dagli stoici pronoia (e per gli stoici il termine "divino" ha un significato diverso rispetto al "Dio" della tradizione cristiana, il quale invece "dona" agli uomini il libero arbitrio, per questo concetto si veda Agostino). La pronoia è la provvidenza, quel principio che "pre-vede" e "pre-determina" il mondo nel suo insieme, il termine pronoia deriva infatti dal prefisso pro- ("che sta davanti") e da nous ("intelletto"), per cui pronoia è ciò che si pone prima dell'intelletto umano (il quale è circostanziato) travalicandolo e determinandolo in anticipo (alla provvidenza spetta infatti il compito di predeterminare ogni evento, passato, presente e futuro).
Dunque per gli stoici la pronoia determina ogni evento, per cui ogni aspetto dell'esistenza è fato, è destino (in greco heimarméne). Se ogni aspetto è già determinato nel disegno del fato, allora la libertà dell'uomo è solo apparente. L'unica libertà che è concessa all'uomo è allora quella di non contrastare il destino e seguire il suo volere.
Se l'uomo intendesse piegare il mondo al suo volere, cercando di conformarlo ai suoi progetti, sarebbe comunque destinato al fallimento qualora il fato volesse il contrario. L'autentica libertà dell'uomo è dunque quella di volere ciò che il fato vuole, in modo da porre il destino come guida e non come antagonista rispetto al proprio progetto di vita.
Mentre per Epicuro la serenità dell'anima si fonda sul fatto che nulla nella realtà è sottoposto ad alcuna legge restrittiva per la libertà degli uomini, e quindi ogni uomo è libero di ricercare la felicità, per gli stoici la serenità è invece raggiungibile proprio a partire dal senso del destino per cui ogni cosa che accade nel mondo non dipende dalla volontà degli individui ed è quindi inevitabile.

Il dominio sulle passioni
Il senso del cosmo è il logos. Ogni cosa è permeata da questa legge per cui non solo la natura (la physis) soggiace al volere della ragione, ma anche l'uomo, il quale è parte della natura e del cosmo. La vita degli uomini è scontro tra lògos e phatos, dove per phatos si intende l'errore della ragione indotto dagli istinti. Il vero ostacolo verso una piena armonia con l'universo è dunque la passione, vera malattia dell'anima che allontana l'uomo dalla ragione.
Il saggio deve astenersi delle passioni, egli deve contemplare il mondo con distacco, come se assistesse ad una rappresentazione sulla quale non può intervenire. Il destino degli uomini è infatti già deciso dal logos, ragion per cui ogni cosa accade indipendentemente dal "disturbo" operato delle passioni. Ecco dunque che il saggio stoico pratica l'apatia (a-pathos, "assenza di passione") e l'atarassia (a-taraxsis, "assenza di turbamento", "imperturbabilità" di fronte agli eventi).
Il destino determina ogni cosa, dunque determina anche la passione come allontanamento dalla ragione, tuttavia le passioni sono un genere di sensazioni che disturbano la contemplazione della verità, quella verità per cui è il logos a reggere i destini del mondo. La vita autentica è dunque la contemplazione della verità del logos, è l'essere a conoscenza della verità e condurre la propria vita in funzione di essa.
Le passioni sono d'ostacolo ad una vita serena perché conducono l'uomo a volere ciò che non può realizzarsi. Ogni volta che l'uomo desidera l'impossibile (desidera ciò che dovrebbe accadere e non accetta invece ciò che accade) egli va incontro al dolore. Ecco che il saggio stoico non lotta contro il fato ma lo accetta, e nel momento in cui egli lo accetta non si lascia condurre da esso ma diventa egli stesso il proprio destino. In questo modo l'uomo diventa autenticamente ciò che è: accettare il proprio destino implica essere realmente ciò che si è, entro la propria natura e non oltre. I tre tipi di azioni etico-morali, la vita virtuosa
Seguendo il precetto della vita secondo natura, ovvero l'agire conforme all'ordine razionale del cosmo, si possono distinguere tre tipi di azioni etico-morali:

- Le azioni doverose, da perseguire sempre e ad ogni costo, poiché in perfetta armonia con la ragione. Sono l'impegno civile (contrapposto al disimpegno epicureo), il rispetto degli obblighi familiari, dei patti e dell'amicizia;

- Le azioni ingiuste, da evitare in quanto frutto dell'abbandono alle passioni, uniche vere nemiche della verità e della vita, malattie dell'anima (l'ira, l'odio, la ferocia, ma anche la malinconia e il sentimento di frustrazione);

- Le azioni indifferenti, quelle dettate da comportamenti che mirano alla ricchezza, alla bellezza, alla gloria, ecc. Il saggio stoico non si cura delle possibilità oggettive della sua esistenza, i suoi precetti gli impongono l'indifferenza verso gli eventi elargitigli dal fato. Tutte le azioni che sono indifferenti al raggiungimento della virtù sono definite dagli stoici come "adiaforie" (da adiaphorìa, composto dal privativo a- e da diaphoros, “differente”, ovvero “che non fa alcuna differenza”).

Scopo della vita è vivere un'esistenza virtuosa, la virtù è vivere secondo ragione. La felicità consiste dunque nel comprendere di essere individui razionali che sono parte di un tutto soretto da basi razionali. Si è virtuosi quando si comprende il legame che sussiste tra le singole individualità e una ragione più ampia e profonda. Le passioni "viziose" sono quelle che conducono all'ira, alla ferocia e al dolore dell'anima provocato dallo sconforto e dalla frustrazione, per contro, i sentimenti che onorano la legge del logos sono i sentimenti di amore per gli uomini e di rispetto per le istituzioni e per gli impegni contratti con gli appartenenti alla comunità.
Le quattro virtù fondamentali per gli stoici sono la saggezza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. La saggezza è la virtù di chi conosce e comprende l'autentico senso della verità, la giustizia è la virtù che si esercita conseguentemente alla conoscenza della verità, la fortezza e la temperanza sono qualità virili che permettono all'uomo stoico di affrontare i colpi della sorte a testa alta, ben sapendo che ogni cosa accade secondo necessità ed è quindi inevitabile (virtù consone più delle altre allo spirito romano e a pensatori quali Seneca, Marco Aurelio ed Epitteto).

Cosmopolitismo e regola dell'impegno civile
Se tutto è governato dalla ragione essa ha un significato assoluto e universale entro la quale e per la quale vivono tutti gli uomini, aldilà di ogni distinzione politica, sociale, e culturale. La filosofia stoica è dunque un tipo di saggezza che non si rivolge solamente ed esclusivamente ad un certo gruppo sociale o politico, ma la verità di cui si fa portatrice ha un carattere universale che coinvolge gli uomini nella loro totalità, al di là delle differenze e delle condizioni di vita.
Questo aspetto dello stoicismo è proprio anche dell'epicureismo, in quest'ultimo il cosmopolitismo è conseguenza del fatto che nel cosmo non vi è alcuna legge deterministica e quindi ogni uomo è legittimamente in grado di sperimentare liberamente il senso della felicità, mentre per lo stoicismo il carattere della propria dottrina è universale proprio perché è universale la legge che guida l'universo. Questo aspetto delle discipline filosofiche ellenistiche contrasta quindi con la visione fortemente aristocratica, elitaria e "classista" propria della filosofia politica di Platone (si veda la Repubblica).
Esempio vivente dell'universalità della dottrina stoica è lo schiavo filosofo Epitteto. Egli metteva in pratica l'indifferenza rispetto alla propria condizione di vita, una condizione determinata dal destino al quale nulla si poteva opporre, ma rivendicava comunque il diritto di essere un libero pensatore malgrado costretto nella sua condizione servile.
Molto importante nello stoicismo è poi il precetto dell'impegno civile (molti stoici romani erano personalità politiche di spicco, a partire da Seneca, per non parlare dall'Imperatore Marco Aurelio). Se l'uomo non può lottare contro il proprio destino, è altresì vero che il buon stoico ha il dovere di diffondere i precetti della sua dottrina a quanti più uomini possibili, in modo da armonizzare le azioni degli uomini al volere del fato e renderli più forti di fronte ai colpi della sorte.

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