lunedì 6 agosto 2007

Epicuro - Epicureismo


Epicuro
(Samo, 341 a.C. - Atene, 271/270 a.C.), filosofo greco fondatore di una delle maggiori scuole filosofiche dell'età ellenistica e romana.
Epicuro (letteralmente "salvatore") nacque sull'isola di Samo, suo padre era un maestro e sua madre una maga. Appassionato di filosofia sin da giovane, a quattordici anni lasciò l'isola per studiare con il platonico Panfilo e l'atomista Nausifane, che gli fece conoscere il pensiero di Democrito.
Soggiornò poi ad Atene, a Colofone, a Mitilene e a Lampsaco, quindi nel 306 a.C., insoddisfatto dell'insegnamento altrui, aprì ad Atene la sua scuola filosofica in una casa con un ampio terreno adibito a giardino, dove i seguaci vivevano in comunità (per questo vennero chiamati "filosofi del Giardino").Epicureismo
La dottrina filosofica di Epicuro è detta anche filosofia del "giardino" ovvero il luogo, una casa con giardino appena fuori da Atene, dove egli dal 306 a.C. impartiva lezioni ai suoi discepoli. La sua filosofia si basa sull'atomismo pur discostandosi da Democrito. Egli riprende la teoria degli atomi traendone conclusioni di tipo etico capaci di liberare l'uomo da alcune delle sue paure primordiali, come quella della morte. Ritiene che il criterio della verità sia la conoscenza sensibile, ovvero solo i sensi sono veri ed infallibili. Grazie alle impronte che le cose sensibili lasciano nell'anima l'uomo è in grado di formulare dei pregiudizi che però non sempre corrispondono alla verità.Il pensiero
Di Epicuro ci restano tre epistole dottrinali riportate da Diogene Laerzio:
  • La lettera ad Erodoto in cui esprime il suo pensiero sulla fisica;
  • La lettera a Meneceo che tratta di etica;
  • La lettera a Pitocle sulla conoscenza.
Epicuro riprende la teoria atomica di Democrito introducendo però una deviazione casuale (dal latino: clinamen, anche se la prima volta che il termine compare è nel De Rerum Natura di Lucrezio; non abbiamo la certezza che anche Epicuro l'avesse considerata, ma vista l'adesione di Lucrezio alle dottrine del maestro è ragionevole riferire a lui anche questa teoria) del moto degli atomi che determina collisioni dalle quali si originano i corpi.
A differenza quindi dell'atomismo democriteo, il moto degli atomi non è più considerato vorticoso, ma, riprendendo la fisica di Aristotele, esso si svolge secondo un percorso rettilineo, che però incontra in modo spontaneo e imprevedibile una deviazione. Attribuisce quindi anche all'anima una causa materiale, essendo essa stessa composta di atomi, e grazie a questa concezione egli libera l'uomo dalla paura della morte poiché quando questa si verifica il corpo, e con esso l'anima, ha già cessato di esistere e quindi cessa anche di provare sensazioni. Per questo motivo sarebbe stolto temere la morte come causa di sofferenza in quanto la morte è privazione di sensazioni.
Inoltre egli affronta anche la questione degli dei che, secondo Epicuro, non si occupano dell'uomo in quanto vivono negli intermundia, cioè in spazi situati fra gli infiniti mondi reali, e del tutto separati da questi; essi perciò non hanno esperienza dell'uomo. Affronta quindi la questione del male rispetto agli dei e procede per gradi:
  • Dio non vuole il male ma non può evitarlo (Dio risulterebbe buono ma impotente, non è possibile).
  • Dio può evitare il male ma non vuole (Dio risulterebbe cattivo, non è possibile).
  • Dio non può e non vuole evitare il male (Dio sarebbe cattivo e impotente, non è possibile).
  • Dio può e vuole; ma poiché il male esiste allora Dio esiste ma non si interessa dell'uomo (questa è la conclusione che Epicuro considera vera).
Queste considerazioni di tipo fisico, cosmologico e teologico spingono Epicuro a considerare la felicità come coincidente con l'assenza di paure e timori che condizionano l'esistenza in modo negativo. Ritiene inoltre che il male derivi dai desideri che, se non appagati, generano insoddisfazione e quindi dolore. Questi possono essere artificiali o naturali (necessari e non necessari).
È inoltre doveroso aggiungere che il motivo per cui Epicuro afferma che gli dei si disinteressino dell'uomo è che essi, nella loro beatitudine e perfezione, non hanno bisogno di occuparsi degli uomini. Affermare che per gli dei sia necessario occuparsi di qualcosa, in questo caso degli uomini, significherebbe dare un limite al potere immenso degli dei, che, invece, non hanno bisogno di interessarsi della vita terrena. La fisica
Il pensiero scientifico di Epicuro presenta molti aspetti che ricordano il pensiero scientifico moderno, la cui nascita viene tradizionalmente fatta risalire a Galileo Galilei.
Premettiamo che Epicuro fu uno scrittore molto prolifico, come ci viene testimoniato da Diogene Laerzio, ma ci rimane molto poco della sua produzione, per cui bisogna cercare di capire il più possibile dal poco che ci rimane. Molte delle sue opere erano trattati di alto livello scientifico, volti ad affrontare in modo sistematico lo studio della natura: Diogene Laerzio riferisce della sua opera "Della Natura", in 37 libri, o "Degli Atomi e del vuoto", o ancora "Del Criterio", ritenuta essere un'opera di logica, e così via. Vengono attribuiti ad Epicuro circa 300 libri.
Quanto ci resta sono tre lettere e varie raccolte di frammenti, materiale fra l'altro, a carattere divulgativo, come dice lo stesso Epicuro: insomma è come cercare di ricostruire gli esperimenti sulle particelle subnucleari svolti al CERN tramite alcuni articoli di Le Scienze!
Già comunque nelle lettere si trovano molti spunti interessanti, che cercheremo di evidenziare. Il metodo di ricerca
Come prima cosa nella Lettera ad Erodoto, Epicuro sottolinea come sia importante avere un modello di riferimento, una teoria, diremmo oggi, nella quale inquadrare i fenomeni studiati, e questo è possibile solo se si "riduce il complesso della dottrina in elementi e definizioni semplici". Egli chiama questo metodo di ricerca, preliminare alla ricerca stessa, canonica, ovvero studio del canone.
Il concetto di modello è effettivamente ciò che ha reso potente la scienza moderna, modello come qualcosa che si usa per spiegare la realtà, ma che non è la realtà: cioè un fenomeno può essere spiegato da un modello, ma non è il modello, anzi, un fenomeno può anche essere spiegato con modelli diversi, la cosa importante è che i diversi modelli siano in accordo con i dati sperimentali.
Dice Epicuro nella Lettera a Pitocle: "non bisogna infatti ragionare sulla natura per enunciati privi di riscontro oggettivo e formulazione di principi teorici, ma in base a ciò che l'esperienza sensibile richiede". Questa è poi la base della scienza sperimentale.Il piacere
Non si è mai troppo vecchi o troppo giovani per essere felici. Uomo o donna, ricco o povero, ognuno può essere felice.
Epicuro ritiene che il sommo bene sia il piacere (edonè). È necessario comprendere a fondo questo termine; Epicuro distingue due fondamentali tipologie di piacere:
  • Il piacere catastematico (statico)
  • Il piacere cinetico (dinamico).
Per piacere cinetico si intende il piacere transeunte, che dura per un istante e lascia poi l'uomo più insoddisfatto di prima. Sono piaceri cinetici quelli legati al corpo, alla soddisfazione dei sensi.
Il piacere catastematico è invece durevole, e consta della capacità di sapersi accontentare della propria vita, di godersi ogni momento come se fosse l'ultimo, senza preoccupazioni per l'avvenire. La condotta, quindi, deve essere improntata verso una grande moderazione: meno si possiede, meno si teme di perdere. Epicuro paragona la vita ad un banchetto, dal quale si può essere scacciati all'improvviso. Il convitato saggio non si abbuffa, non attende le portate più raffinate, ma sa accontentarsi di quello che ha avuto ed è pronto ad andarsene appena sarà il momento, senza alcun rimorso. Il piacere catastematico è profondamente legato ai concetti di atarassia e aponia.
Importante è quindi l'amicizia, intesa come reciproca solidarietà tra coloro che cercano insieme la serena felicità. Per quanto riguarda la società egli riconosce l'utilità delle leggi, che vanno rispettate poiché calpestandole non si può avere la certezza dell'impunità quindi rimarrebbe il timore di un castigo che turberebbe la serenità per sempre. L'uomo dovrà quindi essere contento del vivere nascondendosi serenamente (è la concezione epicurea del "vivere nascostamente" o "vivi di nascosto", in greco λάθε βιώσας)
Il disimpegno degli epicurei, che teorizzano una vita serena e ritirata, congiunto ad una distorta interpretazione del termine "piacere", ha portato nei secoli ad una visione distorta dell'epicureismo, spesso associato all'edonismo con cui nulla ha a che fare. La filosofia epicurea si distingue al contrario per una notevole carica illuministica e morale, insegna a rifiutare ogni superstizione o pregiudizio in una serena accettazione dei propri limiti e delle proprie potenzialità.Il tetrafarmaco
Epicuro ritiene che la filosofia debba diventare lo strumento, teorico e pratico, per raggiungere la felicità liberandosi da ogni passione irrequieta.

"Se non fossimo turbati dal pensiero delle cose celesti e della morte e dal non
conoscere i limiti dei dolori e dei desideri, non avremmo bisogno della scienza
della natura".
Propone quindi un "tetrafarmaco", capace di liberare l'uomo dalle sue quattro paure fondamentali:

Mali
  1. Paura degli dei e della vita dopo la morte
  2. Paura della morte
  3. Mancanza del piacere
  4. Dolore fisico
Terapie
  1. Gli dei non si interessano degli uomini
  2. Quando noi ci siamo ella non c'è, quando lei c'è noi non ci siamo
  3. Esso è facilmente raggiungibile
  4. Se è acuto è momentaneo o morirai, se è leggero è sopportabile
Tre ingredienti per la felicità L'amicizia
"Di tutti i beni che la saggezza procura per la completa felicità della vita il più grande di tutti è l'acquisto dell'amicizia."
Epicuro teneva in gran conto la vera amicizia. Il vero amico è colui che ama e rispetta l'altro per ciò che è e non per ciò che possiede. Tra veri amici si crea intimità, si condividono malinconie, ci si conforta. L'amicizia è in grado dare sicurezza nella misura in cui ci sentiamo compresi e accettati.
Sfidando i costumi, Epicuro e i suoi seguaci vissero in una grande casa priva di lusso e di decori, tuttavia coltivavano ciò di cui avevano bisogno per mangiare, e, cosa più importante, mangiavano assieme. "...dilaniare carni senza la compagnia di un amico è vita da leone e da lupo".La libertà
L'uomo libero è già a un passo dalla vera felicità, l'uomo che si libera dalle opinioni altrui lo è ancora di più. Si è già visto come per Epicuro la libertà dal volere degli dei sia già di conforto, a maggior ragione la libertà dell'uomo di fronte al proprio destino o a qualsiasi destino imposto da altri uomini è motivo di felicità e di piacere.Il pensiero, la parola e la scrittura consolatoria
La comunità epicurea era votata alla discussione dei problemi e alla riflessione. Molti degli amici di Epicuro erano scrittori e poeti. Epicuro amava discutere ed esaminare le proprie ansie legate al possesso del denaro, alle preoccupazioni legate alla salute, alla morte e all'aldilà. Discutere razionalmente della morte avrebbe aiutato, secondo il filosofo, ad alleviarne la paura. L'analisi lucida delle ansie e delle paure, sia per mezzo della discussione che della scrittura, se non è un rimedio assoluto, è tuttavia una consolazione, cosa che, a fini pratici, è tutt'altro che da sottovalutare.
"Ciò che al presente non ci turba, stoltamente ci addolora quanto è atteso".
Questa frase riassume bene l'atteggiamento filosofico di Epicuro: la vita è pratica di felicità , non conviene pensare a ciò che potrà accadere in futuro se questo implica la rovina della propria serenità presente.Le affezioni: il piacere e il dolore
Scrupolo di Epicuro è attenersi il più possibile all'evidenza originaria delle cose, poiché è nell'evidenza che si mostra la verità. Epicuro ritiene quindi di individuare negli uomini due stati d'animo innegabili e originariamente irriducibili: il piacere e il dolore. Questi stati d'animo, che vengono chiamati da Epicuro "affezioni", sono i due sentimenti che muovono tutte le azioni degli uomini.
Il piacere è quindi principio di bene, il dolore è invece sintomo di errore e quindi di male, queste sono verità originarie e di per sé evidenti che non hanno bisogno di essere provate.
Oltre alle affezioni, da ricordare che per Epicuro sono evidenze innegabili anche gli stati sensibili (il caldo, il freddo, la luce, il buio, il dolce, il salato, ecc.), e anche le cosiddette "prolessi", ovvero quelle rappresentazioni generali della mente che ci danno il senso degli eventi presenti sulla base dell'esperienza di quelli passati.
Dunque è evidente la radice "materialista" dell'epicureismo: sono gli stati sensibili gli unici fatti che godono il privilegio di un'evidenza innegabile e quindi possono dirsi verità.La vera felicità (e il vero piacere)
Ma, contrariamente a quello che si può pensare, per Epicuro la vera felicità non consiste nel piacere dei dissoluti. Come già per Socrate, Epicuro afferma che un piacere che conduce a successivi affanni non può dirsi vero piacere. Il vero piacere è un piacere che è già compiuto in sé, che non si incrementa e non decresce, resta stabile, perché rappresenta la perfezione. A questo tipo di piacere si arriva per sottrazione del dolore: il vero piacere è quindi assenza di dolore fisico (aponia, "privo di pena") che spirituale (atarassia, "privo di turbamento").
Sul dolore fisico Epicuro sostiene che se è lieve non può offuscare il piacere di vivere, se è acuto, dura poco e se acutissimo conduce presto alla morte. In quanto alla morte, Epicuro ripropone la natura materialista della sua dottrina: il corpo è un'aggregazione di atomi, tutti gli stati dolorosi e sensibili provengono dal corpo in quanto aggregazione, la morte è disgregazione degli atomi, quindi la morte è assenza di dolore perché è assenza di percezioni. Con le parole di Epicuro:
"Nulla c'è di temibile nel vivere per chi sia veramente convinto che nulla di temibile c'è nel non vivere più".
Una volta però accettata la morte come annullamento del corpo e assenza del dolore, resta il fatto che la morte può impedire di fatto che si viva la felicità, e per questo può essere un male. Epicuro ribatte allora che se la vera felicità, il vero piacere, è l'assenza del dolore, allora il massimo piacere che un uomo può provare in vita non è superabile una volta raggiunto, poiché non si può, una volta tolto il dolore, pretendere di togliere altro.
La vera felicità è già compiuta in sé, e non basterebbe quindi l'eternità per raggiungere una felicità più grande. L'uomo che non conosce la felicità come assenza del dolore è destinato a soffrire invece per tutta la vita, alla ricerca continua di nuovi piaceri che mai soddisferanno la sua sete di felicità.L'ignoranza genera dolore
L'uomo è destinato a provare dolore se non conosce la verità, e la verità si rispecchia nel saper distinguere il vero piacere dal piacere dei dissoluti. La saggezza e la sapienza conducono quindi all'autentica felicità, in quanto è grazie al loro apporto che l'uomo si mette in quella disposizione d'animo che lo conduce a fare chiarezza sulle cose.
Il vero piacere è l'assenza del dolore, ma ignorandone il significato l'uomo non può che cadere nell'errore, è dall'ignoranza che scaturiscono tutti i mali, le pene e le cure. Partendo da questa verità, presente alla coscienza del saggio e del sapiente, l'uomo può finalmente derivare tutto quell'insieme di regole di vita che permettono all'uomo di curare il male dell'anima (e sopportare dunque con maggiore coraggio il male del corpo). Se l'ignoranza del vero senso del piacere conduce al dolore, la verità conduce allora al piacere.
Compito della filosofia epicurea è quindi dare all'uomo un metodo valido per superare la percezione del dolore e dell'infelicità, veri mali del mondo. E' dunque funzione della filosofia, che consiste infatti "nell'aver cura della sapienza", fornire l'uomo dei mezzi più validi per chiarire il vero significato del piacere e quindi della felicità, perché non conoscendone il vero significato, gli uomini sarebbero in balia di quell'ignoranza che li farebbe brancolare nel buio, impedendo loro di approdare alla serenità dell'animo.Epicuro visto da NietzscheUn giardino, fichi, piccoli formaggi e insieme tre o quattro buoni amici: fu questa la sontuosità di Epicuro. (Umano, troppo umano)Epicuro ha vissuto in tutti i tempi, e vive ancora, sconosciuto a quelli che si dissero e si dicono epicurei, e senza fama presso i filosofi. Del resto egli stesso dimenticò il suo nome: fu il bagaglio più pesante che avesse mai gettato via. (Umano, troppo umano)Sì, sono fiero di sentire il carattere di Epicuro in modo diverso, forse, da chiunque altro, e soprattutto di gustare in tutto ciò che di lui leggo e ascolto la gioia pomeridiana dell'antichità - vedo il suo occhio che guarda un vasto,albicante mare, oltre gli scogli delle coste su cui si posa il sole, mentre grandi e piccole fiere giuocano nella sua luce, sicure e placide come questa luce e quell'occhio stesso. Una tale gioia l'ha potuta inventare solo un uomo che ha perpetuamente sofferto, la gioia di un occhio davanti al quale il mare dell'esistenza si è quietato e che non si sazia più di guardare la sua superficie, e questo screziato, tenero, abbrividente velo di mare: non era mai esistita prima di allora una tale compostezza della voluttà. (La gaia scienza, af. 45)La lotta contro la 'fede antica' intrapresa da Epicuro fu, in senso stretto, una lotta contro il cristianesimo preesistente- lotta contro il vecchio mondo intristito, moralizzato, inacidito da sentimenti di colpa, diventato decrepito e infermo. (La volontà di potenza, af. 438)L'epicureo si sceglie la situazione, le persone e perfino gli avvenimenti che si armonizzano con la sua costituzione intellettuale estremamente eccitabile, egli rinuncia al resto, vale a dire al più, perchè sarebbe per lui un cibo troppo forte e pesante. (La gaia scienza, af.306)Epicuro, l'acquietatore d'anime della tarda antichità, comprese meravigliosamente, come ancor oggi così raramente si comprende, che per tranquillizzare l'animo non é affatto necessario risolvere le ultime ed estreme questioni teoriche. Sicchè a coloro che erano tormentati dalla 'paura degli dèi', gli bastava dire:" se ci sono gli dèi, essi non si preoccupano di noi ",- invece di disputare sterilmente e da lontano sulla questione suprema, se ci siano in genere dèi. Questa posizione é molto più favorevole e forte: si danno all'altro alcuni passi di vantaggio, rendendolo così più pronto ad ascoltare e a ponderare. Ma non appena quegli si accinge a dimostrare il contrario,- che gli dèi si preoccupano di noi,- in quali errori e intrichi spinosi non dovrà cadere il misero, affatto da sè, senza astuzia da parte dell'interlocutore? Costui deve solo avere abbastanza umanità e finezza da nascondere la sua compassione per questo spettacolo. Da ultimo l'altro giunge alla nausea, l'argomento più forte contro quella proposizione, alla nausea per la sua stessa affermazione; si raffredda e va via con lo stesso stato d'animo che é anche dell'ateo puro: "cosa importa poi a me degli dèi? Che il diavolo se li porti!".- In altri casi, specie quando un'ipotesi a metà fisica e a metà morale aveva offuscato l'animo, egli non confutava questa ipotesi, bensì ammetteva che poteva essere così, ma che per spiegare lo stesso fenomeno c'era ancora una seconda ipotesi; e che forse la cosa poteva stare ancora diversamente. Anche nel nostro tempo la pluralità delle ipotesi, per esempio sull'origine dei rimorsi della coscienza, basta per togliere dall'anima quell'ombra che così facilmente nasce dal ruminare un'ipotesi unica, la sola visibile, e pertanto cento volte sopravvalutata. - Chi dunque desidera largire conforto, a infelici, malfattori, ipocondriaci, morenti, si ricordi delle due espressioni tranquillizanti di Epicuro, che si possono applicare a moltissime questioni. Nella forma più semplice esse suonerebbero all'incirca: primo: posto che la cosa stia così, non ce ne importa niente; secondo: può essere così, ma può anche essere diversamente. (Il viandante e la sua ombra; af.8)Bibliografia
Robe trovate qua e là in internet...

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