Che cos'è la volontà? Da dove scaturisce la misteriosa forza con cui essa salda in noi mente e corpo determinando il nostro agire? Su questo eterno problema della filosofia si è sempre tornati, e sempre, fatalmente, si tornerà. Con un passaggio obbligato, un punto di riferimento ineludibile: Schopenhauer, il quale ha fatto della volontà la chiave di volta del proprio edificio speculativo, imperniando intorno a essa tutti i motivi della sua filosofia. Negli anni tra il 1826 e il 1840, impegnato nel ripensamento e nello sviluppo del Mondo come volontà e rappresentazione, il filosofo elabora, cataloga e raccoglie centosei Argomenti a favore del primato della volontà sull'intelletto, prezioso repertorio di considerazioni antropologiche, psicologiche e fisiologiche. L'intento è quello di suffragare la sua tesi capitale: "La volontà è la cosa in sé, il solo ens realissimum et primarium, il solo elemento metafisico", mentre l'intelletto "è mera apparenza, la sua esistenza è secondaria e derivata". Il primato della volontà viene così presentato da Schopenhauer come il "dogma fondamentale" della sua filosofia, ma al tempo stesso come "la più importante di tutte le verità", risultato di una scoperta basilare. Egli rivendica il merito di essere "il primo" ad attribuire alla volontà - quindi alla cieca pulsione vitale, all'inconscio, alle passioni, al carattere - la legittima preminenza in seno alla soggettività, mentre "tutti, tutti, tutti, per saecula saeculorum, hanno insegnato il contrario". E questa scoperta epocale, che apre la via alle scoperte maggiori della antropologia e della psicologia, sarà destinata ad avere ripercussioni immense, annoverando fra i suoi debitori Wagner, Nietzsche e Freud.
Il primato della volontà (Piccola biblioteca Adelphi)