domenica 15 giugno 2008

Il velo di Maya


Secondo l’antica saggezza religiosa indiana, conservata nei versi dei Veda, che sono fra gli scritti più antichi che ci siano pervenuti, datati intorno ai 5000 anni a.C., la dea Maya, dopo la creazione della terra, la ricoprì di un velo, che impedisce agli uomini di conoscere la vera natura della realtà. E’ scritto:
Maya è il velo dell’illusione,che ottenebra le pupille dei mortali e fa loro vedere un mondo di cui non si può dire né che esista né che non esista; il mondo, infatti, è simile al sogno, allo scintillio della luce solare sulla sabbia che il viaggiatore scambia da lontano per acqua, oppure ad una corda buttata per terra ch’egli prende per un serpente.”
Come è noto, Schopenhauer ha fatto del velo di Maya un cardine della sua filosofia ed ha anche assorbito la sottostante visione della vita, fatta di dolore, ma non ne ha recepito l’aspetto più profondo che è quello della necessità del velo proprio per coprire questa realtà frustrante e consentire così la vita, come è invece nella tradizione indiana. Il velo di Maya, che ci separa dal deserto del reale, è, nella visione indiana, indispensabile perché senza di esso saremmo esposti all'orrore del reale e non potremmo vivere, la sua stesura fu dunque un atto di pietà da parte di Maya. Per questo motivo, secondo la straordinaria saggezza indiana, il velo di Maya non può essere perforato; se sembra squarciarsi in un punto si riforma in un altro ed agisce comunque sempre, anche se non ce ne accorgiamo. Schopenhauer, per sfuggire al tormento della realtà, predica l’ascesi, quindi la frustrazione degli impulsi, il cui effetto, predicato anche nel buddismo, dovrebbe condurre al Nirvana, vale a dire alla liberazione delle costrizioni degli impulsi. La proposta più saggia è quella antica che scaturisce dai Veda, di lasciar vivere i nostri impulsi e soprattutto di non contraddire le nostre illusioni, la nostra difesa paranoica dalla disperazione, accettandola anzi come il dono prezioso della Dea. Certamente, ciò comporta l’assunzione di una certa quantità di dolore, ogni volta che l’illusione si scontra con la realtà, e per chi ha avuto in sorte un destino ingrato, il saldo del conto può essere negativo, ma per la maggioranza degli uomini vivere con l’illusione è certamente meglio che vivere senza di essa.

Mi sono imbattuto sul concetto del Velo di Maya per un motivo decisamente prosaico, e cioè perché mi è capitato fra le mani un vecchio disco dei Cynic: Focus, del 2002 (vedi foto copertina) che tra le varie tracce contiene un brano intitolato per l'appunto Veil of Maya.

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